Recensione di SPENCER, il film con Kristen Stewart nei panni della principessa Diana, solo al cinema da 24 marzo.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Pablo Larraín
CAST: Kristen Stewart, Timothy Spall, Jack Nielen, Freddy Spry
DURATA: 111 min.
USCITA: giovedì 24 marzo 2021
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
RECENSIONE
Il matrimonio della principessa Diana e del principe Carlo è da tempo in crisi. Sebbene le voci di tradimenti e di divorzio abbondino, in occasione delle feste di Natale nella residenza reale di Sandringham sembra che possa farsi strada una parentesi di pace. Si mangia e si beve, si spara e si caccia. Diana conosce il gioco, ma quest’anno le cose andranno molto diversamente dal previsto.
C’è un abisso fra il penultimo film di Pablo Larraín Ema e Spencer: se Ema bruciava in ogni frame – non per niente la protagonista era proprio una piromane – Spencer è un film di ghiaccio, freddo come la morte, una morte spirituale emotiva e umana, quella della sua protagonista, la principessa Diana, nota come Lady D.
Il regista cileno torna a indagare l’identità di personaggi-puzzle, frammenti di menti devastate, raccontate in modo non lineare, non realistico, con un po’ di noir, un po’ di horror, tanta psicoanalisi.
Il clima gelido della brulla campagna inglese, abbandonata a se stessa come la casa, ormai in rovina, degli Spencer, offre un’azzeccata similitudine dell’interiorità spezzettata, triste, oppressa di Diana, ormai decisa ad abbandonare famiglia e marito.
Uno spaventapasseri con indosso un vecchio Barbour, metafora del padre a cui Diana spera per un’ultima volta di aggrapparsi, è lì per vegliare, o come avvertimento che a restare lì, immobili, si diventa come delle bambole di pezza?
Carlo, come tutti gli altri “partecipanti” dei festeggiamenti natalizi, è relegato a un ruolo marginale. La sua ipocrisia è racchiusa in una battuta, “siamo solo attori che recitano una parte per il popolo”, l’oppressione che mette in pratica si manifesta in ogni sguardo e in ogni parola che rivolge a sua moglie.
A Larraìn non serve prendere le parti della triste principessa rispetto alla Regina – ferrea nelle tradizioni e quindi infallibile – perché tutto ciò che riguarda la famiglia reale è soffocante, privo di interesse, programmato a tal punto da essere già avvenuto ancora prima di avvenire.
Mescolando realtà e finzione, personaggi reali e fantasmi, il regista racconta l’interiorità di una donna che anela ad una libertà semplicissima – come avere i capelli al vento in una cabriolet – ma soprattutto che non ha bisogno di medicine ma di amore, come le ricorda l’unica persona che le parla davvero, non con frasi fatte, la sua amica guardarobiera.
Se la storia di Diana fosse un film, sarebbe un film scritto amaramente bene. Perché racconterebbe la storia di una donna in una gabbia – mentale, certo – che una volta trovata la libertà, e quindi l’amore, muore, come vittima di una punizione divina (o regale) in un mondo che ha solo regole ingiuste e spietate. Chi compie il salto nel vuoto rischia la morte, ma se riesce a sopravvivere “rischia” di vivere da persona autentica. La storia, purtroppo, sappiamo che in questo caso non è andata così.
Anche e proprio per questo forse il film di Larraín è un film scritto così bene, perché racconta una storia vera travestita da favola nera. Il regista mette la morte in ogni frame (dallo spaventapasseri, alla casa abbandonata, fino allo “sport” della caccia) e c’è una scena in particolare, dove Diana riesce finalmente ad entrare nella sua casa di origine e sembra davvero voler togliersi la vita, che ci ricorda quanto sia importante non cacciare e uccidere i propri mostri ma accettarli: è infatti proprio grazie a una visione che Diana si salva.
Ma è consumata dalla bulimia, dall’autolesionismo, dalle tende cucite, dalle perle: Diana è senza amore, è una morta vivente che non si regge più letteralmente in piedi.
Di certo quello di Larraín non è un biopic, ma lo scorcio di un incubo. Tre giorni, quelli del Natale 1991, nella vita di una donna che sta per soccombere al suo fatal flaw.
Eccellente la Stewart, la sua magra figura che cammina e barcolla e crolla nei lunghi corridoi e negli sfarzosi letti di Sandringham House, il suo sguardo di ghiaccio, vuoto, perso, i suoi sorrisi strozzati: tutto concorre alla sua “incoronazione” come Miglior Attrice agli Oscar del prossimo 27 marzo.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER UFFICIALE
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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