Recensione di West Side Story, la versione cinematografica del noto musical diretta da Spielberg in sala dal 23 dicembre!
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Steven Spielberg
CAST: Ansel Elgort, Rachel Zegler, Ariana DeBose, David Alvarez, Rita Moreno
DURATA: 156 min.
USCITA: giovedì 23 dicembre 2021
DISTRIBUZIONE: Walt Disney
RECENSIONE
C’è una prima volta anche per Steven Spielberg che, da poco compiuti i 75 anni, ci regala il suo primo musical, nonché un nuovo meraviglioso tassello della sua scintillante filmografia.
In questo remake del premiatissimo adattamento di Robert Wise del 1961, ad interpretare i due innamorati protagonisti ci sono l’esordiente Rachel Zegler e il “baby driver” Ansel Elgort, che danno autenticità e spessore ai personaggi. Presente nel cast anche Rita Moreno, che vinse un Oscar per il suo ruolo di Anita nel 1961 (chissà se farà una doppietta).
Spielberg è il regista per eccellenza che in tutta la sua carriera è riuscito a fare film di cassetta e di successo al box office senza però mai abbandonare la strada della sperimentazione. E soprattutto, il papà di E.T, seppur mai in maniera esplicita, ha sempre trasfigurato e poi messo in scena esperienze di vita e vissuti personali che hanno profondamente influenzato la sua crescita e la sua poetica.
Questo è il motivo principale per cui i film di Spielberg hanno avuto un così grande successo di pubblico: entrando in contatto con se stesso, egli è sempre riuscito a entrare in contatto con i suoi spettatori, toccando corde che sono di tutti noi, anche grazie alla proficua collaborazione con il suo sceneggiatore Tony Kushner.
Definire Spielberg regista è riduttivo: narratore delle piccole e delle grandi cose, romantico, sognatore, visionario senza limite, da sempre celebra l’amore, proprio lui che ha sofferto così tanto per il divorzio dei suoi genitori. Non a caso questa sua ennesima magistrale opera è dedicata al padre, come recitano i titoli di coda, nelle due struggente paroli “To Dad”.
West Side Story, riadattamento dell’opera più romantica di tutte, Romeo e Giulietta di Shakespeare, sembra a tutti gli effetti scritto per Spielberg, che in effetti a sua volta sembra essere nato per girare musical, nonostante questo sia davvero il suo primissimo. Due innamorati che sfidano la realtà contro tutti e contro tutti difendendo il loro amore, un eroe tormentato, i conflitti di classe, il desiderio di autenticità.
La regia metaforica di Spielberg fa centro ancora una volta: gli ostacoli non sono solo morali ma soprattutto fisici, gli amanti per raggiungersi dovranno continuamente abbattere le barriere (Tony è da poco uscito dalla prigione, non a caso sul suo volto viene proiettata più volte l’ombra delle sbarre). Dovranno salire scale, saltare fossi, camminare in equilibrio precario su superfici sempre troppo strette. D’altronde questo è l’amore, distruggere un equilibrio. I due innamorati sono a tutti gli effetti “prigionieri”, come nell’opera shakespeariana, delle loro identità di appartenenza, nemici senza volerlo, a “fare la guerra” quando vorrebbero solo “fare l’amore”.
Magistrale il loro primo incontro, scandito da un ballo e da un quasi bacio che riescono a trasmettere un senso di libertà, perché per Spielberg l’amore è una liberazione dalle proprie esistenze grigie, fredde e solitarie.
Le differenza con il primo adattamento a dire il vero a una prima occhiata sono poche: la musica è la stessa, arrangiata da David Newman, le coreografie anche, così come i testi, che non sono cambiati ma se mai resi più attuali – tristemente attuali.
Ma è una maggiore cupezza che fa capolino sulla scena di Spielberg, nonostante i colori e la leggerezza della macchina da presa, la pesantezza dei contenuti e dei presagi rende questa opera un remake più connesso all’attualità, più intenso, più viscerale. La New York è quella degli anni Sessanta, e anche se adesso nessuno salta sui tetti, il regista sta parlando anche al nostro presente.
Emergono tematiche quanto mai attuali, come l’odio, la povertà, le diseguaglianze, e i dialoghi sottolineano la drammaticità di una condizione americana (e non solo) violenta, cupa e endemica.
E poi c’è anche la mascolinità tossica – a cui i personaggi femminili si oppongono con tutte le loro forse – che culmina in un tentativo di stupro.
Sottile la scelta di usare attori latini ad interpretare la comunità portoricana, qui si parla solo spagnolo e questo dona alla pellicola maggiore realismo.
Ma alla fine la cosa che conta più di tutte è che Spielberg con questa sua ultima magia riesce ad emozionarci in modo profondo, e ci ricorda cos’è l’amore: arrampicarsi su un’impalcatura senza imbragatura pur di darsi un bacio.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER UFFICIALE
Foto: ufficio stampa che si ringrazia.
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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