Recensione di DRIVE MY CAR, il magnifico film Ryūsuke Hamaguchi al cinema dal 23 settembre 2021.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Ryūsuke Hamaguchi
CAST: Hidetoshi Nishijima, Masaki Okada, Tōko Miura
DURATA: 179 min.
DATA DI USCITA (cinema): 23 settembre 2021
DISTRIBUTORE: Tucker Film
RECENSIONE
Se lo sguardo poetico di William Blake (1757-1827) avesse potuto incrociare la folgorante bellezza di Drive my car, avrebbe dedicato proprio all’ultimo, magnifico lavoro del regista Ryūsuke Hamaguchi la sua celebre affermazione: L’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa.
Drive my car è l’indimenticabile incontro tra parole, silenzi e malinconia nel dolore più profondo, un flusso terapeutico di rara potenza. E’ tutto ciò che distingue un semplice film da un’opera d’arte cinematografica: la capacità di scuotere e di creare nuovi gesti e linguaggi, dando allo spettatore gli strumenti per vedere con occhi diversi il proprio mondo.
Dopo l’ Orso d’argento al Festival di Berlino per ll gioco del destino e della fantasia, Hamaguchi continua il suo fortunato 2021 vincendo, con Drive my car, il premio per la miglior sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes.
Un meritato riconoscimento al coraggio di portare sul grande schermo l’omonimo racconto breve dello scrittore cult Murakami Haruki, il primo della raccolta Uomini senza donne (Einaudi editore), senza timore di perdere l’inevitabile confronto con le pagine di carta.
Protagonista ed epicentro della trama, divisa in due atti, è la figura di Yusuke Kafuku, (Hidetoshi Nishijima) apprezzato attore di teatro, sposato con Otu [Reika Kirishima] autrice televisiva di un certo successo. La loro appassionata relazione è costruita intorno all’arte, all’affetto, al sesso e all’invenzione narrativa di storie a volte intense, a volte molto oscure. Nonostante l’evidente felicità. Otu intrattiene fugaci relazioni con alcuni attori delle sue serie televisive, tra cui il giovane Kōji (Masaki Okada).
La morte improvvisa della moglie cambia completamente l’esistenza di Yusuke. Lasciato il palcoscenico, sceglie di dirigere il dramma teatrale Zio Vanja di Čechov, trasferendosi per qualche mese, con la sua vecchia Saab 900 rossa, al teatro stabile di Hiroshima. Qui, tra rigorose prove teatrali, incontra la giovane autista Misaki, (Tōko Miura), imposta dalla produzione, che guiderà la sua amata Saab. Misaki è molto silenziosa, non è appariscente, ha una cicatrice che le solca parte del volto e fuma molto. Ciò che colpisce Yusuke e il suo vero talento per la guida, che gli permette non solo di lavorare ma di perdersi nei suoi pensieri durante il tragitto quotidiano dalla nuova abitazione al teatro.
Sarà proprio la macchina un vero e proprio scenario teatrale dove, poco a poco, le parole sostituiranno i silenzi tra verità taciute, rimozioni analitiche, segreti rivelati e una dolorosa quanto necessaria presa di coscienza. Fino al sorprendente finale.
La scrittura di Murakami Haruki e la sceneggiatura di Hamaguchi esplorano le stesse, variegate tematiche ma il regista riesce, in oltre 3 ore che volano in un lampo, a trasformare i brevi e asciutti periodi in eccelse illustrazioni in movimento, di ampio respiro. Un ricchissimo e commovente atto d’amore per la potenza taumaturgica del linguaggio, rivelato dalla colta babele linguistica degli attori della pièce teatrale, in cui spicca l’attrice che recita con il linguaggio dei segni.
L’intensa energia del teatro, che non è solo lo specchio caratteriale dei protagonisti ma è il luogo dove perdersi e ritrovarsi, in un unico atto rigenerante che riappacifica con il sé e con il passato.
se si potesse trascorrere quel che resta della vita in qualche modo, in modo nuovo. Svegliarsi in una limpida, tranquilla mattina e sentire che hai ripreso a vivere da capo, che tutto il passato è dimenticato, è svanito come fumo. Cominciare una vita nuova
(Zio Vanja)
Un insight dal sapore psicanalitico, che rimette al centro del discorso l’essere umano nella sua totalità di artista, creatore di bellezza e di opere immortali e in quella di uomo, fallace e dolente peccatore. La differenza è tra scegliere di sopravvivere o reclamare ad alta voce, anima e corpo, di vivere. Qui, e ora.
Silvia Levanti
Scrivi un commento