Recensione di Madame Claude: l’ascesa e il declino di una donna, tra eros e intrighi politici, in un mondo in cui sono gli uomini a vincere. Sempre.
SCHEDA DEL FIILM
REGIA: Sylvie Verheyde
CAST: Karole Rocher, Roschdy Zem, Garance Marillier, Pierre Deladonchamps, Paul Hamy
DURATA: 110 min.
DATA DI USCITA: 2 aprile 2021
PIATTAFORMA: Netflix
RECENSIONE
Quando il cinema mette in scena la biografia di un personaggio controverso, etichettato come immorale, le spinte direzionali portano sovente o a renderlo affascinante agli occhi degli spettatori, o a scavare tunnel psicoanalitici per trovare giustificazioni alla sua pur sgradevole condotta. Madame Claude, Il nuovo film prodotto da Netflix e diretto da Sylvie Verheyde, liberamente ispirato alla turbolenta storia di Fernande Grudet, la tenutaria più famosa di Francia, propone una differente e non banale visione. Al centro del racconto non è il glamour o la voluttà dello scandalo ma la curva discendente e conseguente caduta di un piccolo quanto effimero impero. Il risultato, però, non è del tutto all’altezza delle sue forti ambizioni.
Negli inquieti anni ‘70, il lussuoso bordello parigino di Madame Claude (Karole Rocher) è sia un esclusivo luogo di piacere per star come Marlon Brando, Mick Jagger e importanti figure del Jet Set internazionale, sia il punto nevralgico di informazioni riservate, molti ricatti e oscuri intrecci tra delinquenza e politica.
Madame Claude gestisce con scaltrezza i gusti e le perversioni dei suoi facoltosi clienti, mantiene proficui contatti con le forze dell’ordine, gli amici malavitosi e, non ultimo, educa e istruisce alla professione le sue ragazze squillo, le famigerate Claudettes.
Nel gruppo delle prescelte spicca la bella e inquieta Sidonie (Garance Marillier). La tenutaria è materna e allo stesso tempo spietata con le sue entreneuse: con loro crea un’atmosfera famigliare ma non esita a darle in pasto a uomini brutali e degenerati. Gli anni ‘80 gettano un malinconico velo sopra il cosmo dorato e indecente che Madame Claude ha costruito con grande risolutezza: le cose non saranno più come prima.
La regista di Stella (2008), poliedrica artista indie, non si fa imbrigliare dalla facile e scontata enfasi sul sesso, motore apparente di tutta la storia ma sceglie di lavorare di sottrazione e mezzitoni narrativi.
Lo spettatore, così, viene privato di qualsiasi accento voyeuristico e si ritrova immerso, non senza qualche perplessità, in una narrazione interiorizzata, dall’allure intellettuale, un dialogo intimo con una donna dai molti misteri e tante ombre.
Fin dalle prime sequenze, ciò che si vive e si respira è un costante senso di morte, racchiuso in interni dalle atmosfere sofisticate e allo stesso tempo opprimenti, illuminate da sole luci notturne. La splendida fotografia (curata da Léo Hinstin) sceglie tonalità calde e giallo ocra per nascondere parzialmente i volti, immergendoli in un’oscurità clandestina fatta di stanze di hotel, tende sempre socchiuse, nightclub privi di finestre.
Nelle poche e piuttosto pudiche scene di sesso non vi è mai nulla di gioioso, allegro, tantomeno si intravede l’espressione dell’energia di donne che hanno scelto la trasgressione come via per la libertà ed emancipazione personale. Sono invece i soldi a giustificare ogni azione: nessun desiderio di rivincita, futile piacere o esperienza traumatica riesce a superare il bisogno primario di attorniarsi di banconote.
Madame Claude, Sidonie e i comprimari che orbitano intorno a questa potente e fragile donna sembrano immersi in un acquario, anestetizzati dal dolore, vacui anche di fronte al dramma. Nonostante l’intelligente e raffinato passaggio delle luci, che si fanno via via più fredde, bianche e invadenti, a sottolineare il brusco risveglio di Claude di fronte al crollo delle sue ambizioni, i dialoghi non riescono a cogliere il cambiamento nè a scuotere i protagonisti dal loro innaturale torpore.
Un finale opaco e piuttosto sbrigativo non riesce però a mettere in secondo piano l’ottimo lavoro delle due attrici che trasmettono la giusta dose di elegante decadenza e infelicità.
Ciò che rimane di Madame Claude come film e di Fernande Grudet come realtà, anche dopo la sua scomparsa nel 2015, è un malinconico frammento di verità. L’illusione di una donna che, mettendo in gioco il corpo femminile, credeva di essere protagonista del proprio destino e di dominare gli uomini, finendo invece per essere usata ed espulsa proprio da quel mondo maschile che non le è mai veramente appartenuto.
Silvia Levanti
TRAILER ORIGINALE UFFICIALE
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