Recensione di PIECES OF A WOMAN, il film con Vanessa Kirby e Shia LaBeouf su Netflix dal 7 gennaio 2021.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Kornél Mundruczò
CAST: Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Ellen Burstyn, Jimmie Fails, Molly Parker
DURATA: 115 min.
PIATTAFORMA: Netflix
DATA DI USCITA: 7 gennaio 2021
RECENSIONE
Martha e Sean stanno per avere una bambina, ma il parto finisce in tragedia. La loro relazione inizia a sgretolarsi, le ferite del passato emergono e il dolore è troppo grande per ricominciare. La famiglia di lei preme per fare causa all’ostetrica presente durante il travaglio, ma la giustizia legale non sarà sufficiente per ritrovare la serenità.
Dalla Mostra del Cinema di Venezia (dove la protagonista Vanessa Kirby si è aggiudicata la Coppa Volpi come migliore attrice) Pieces of a Woman sbarca su Netflix – e dove, se no?
Prodotto da Scorsese, attesissimo, ha fatto strage di recensioni più che positive, eppure mi sento di dissentire da questi giudizi. Il piano sequenza (di oltre 20 minuti) che apre il film è davvero magistrale, la regia intensa, i primi piani stretti e le interpretazioni impeccabili. Eppure in ogni frame ho trovato retorica, furbizia e troppo artificio.
Pieces of a Woman ha intenzioni altissime, che si riescono sicuramente ad intravedere, ma che non vanno mai oltre a questo. Il film è stato scritto da Kata Wéber, che si è ispirata a una esperienza vissuta da lei e dal marito, Kornél Mundruczò, che ha diretto il film.
Purtroppo però la sceneggiatura non riesce a racchiudere la complessità di una relazione, di una perdita, di un amore e quindi della vita, rimanendo ancorata a una serie di simboli e di indizi ripetuti in modo eccessivo, ai limiti del fastidioso.
Non bastano i bambini incontrati dappertutto, ma anche la costruzione di un ponte, che va a rilento, ma che alla fine funge da collegamento, e la semina delle lenticchie a rappresentare una nascita e non più la morte. E le mele. Fino alla fine le mele. Soffocato da tutti questi mezzucci c’è il senso del film, ci sono la sofferenza repressa, le cose non dette, le colpe del passato che incombono. Ma l’emozione non ha ossigeno, e quindi non arriva.
Ogni tanto un raggio di sole dall’oltretomba della retorica riesce a farsi strada e allora il film ci regala un monologo straordinario di una donna anziana (Ellen Burstyn), la cui memoria e personalità iniziano a sgretolarsi, ma che non potrà mai dimenticare perché è venuta al mondo, e come quella vita se la sia tenuta stretta nonostante tutto. Il tentativo di tramandare qualcosa ai propri figli, di lasciargli una eredità di sentimenti che altrimenti andrebbero perduti.
Nella confusione dei temi il film prova anche a parlare di differenza di classi sociali, ma anche qui rimane tutto in superficie, un’idea sviscerata attraverso due scene, che sanno troppo di già visto. Così come la sottotrama che riguarda invece Sean (uno svogliato Shia LaBeouf, ma non per colpa sua), scene abbozzate senza alcuna visione d’insieme.
Da segnalare il cameo di Benny Safdie (Good Time, Diamanti Grezzi), che col fratello Josh forma la coppia di registi newyorkesi prolifici, adrenalinici, pop e insieme di nicchia. Terrificanti i clichè hipster, per primo lo sviluppo e la stampa di fotografie in bianco e nero in camera oscura.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER UFFICIALE
Foto: courtesy of Netflix.
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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