Netflix ci trasporta con Bridgerton in una Londra vittoriana sui generis. Dal 25 dicembre 2020 in streaming.
“È una verità universalmente riconosciuta che” se esce una serie in costume ambientata in età vittoriana, essa attirerà tutti noi fan sfegatati di Orgoglio e Pregiudizio.
Non importa se si rivelerà (come sempre) al di sotto dell’incomparabile genio di Jane Austen. Noi dobbiamo vederla.
Proprio per questo motivo, non ho potuto esimermi dal guardare Bridgerton, miniserie di 8 episodi di un’ora ciascuno, tratta dagli omonimi romanzi di Julia Quinn, approdata su Netflix dal 25 dicembre 2020.
I vari episodi si concentrano sulle vicende di una famiglia altolocata di Londra, i Bridgerton, da cui la serie prende il nome, a partire dal debutto in società della figlia primogenita, Daphne (Phoebe Dynervor).
Fin dall’inizio il paragone con Orgoglio e Pregiudizio è inevitabile, anche se Daphne più che assomigliare all’eroina del romanzo dell’Austen, Elizabeth Bennet, pare molto più vicina alla sorella maggiore di quest’ultima, Jane.
La giovane incarna, come la stessa Jane, tutte le doti migliori sia dal punto fisico sia da quello caratteriale. È di bell’aspetto, bionda e con gli occhi azzurri ovviamente; è virtuosa, amabile, gentile e capace di sopravvivere e brillare in società senza farsi mettere i piedi in testa.
Inoltre, come per la famiglia Bennet (e del resto tutte le famiglie inglesi di quel tempo), per i Bridgerton fondamentale è trovare un buon partito per Daphne e le sue sorelle, affinché possano fare un matrimonio conveniente e migliorare il proprio status sociale.
Tuttavia, le somiglianze finiscono qui.
Prima di tutto la discendenza dei Brigderton non è solamente al femminile, ma, oltre a essere più numerosa, è altresì varia. Otto sono i giovani Bridgerton, quattro maschi e quattro femmine, i cui nomi vanno dalla A alla H: Antony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth.
Poi, la madre, Violet Bridgerton (Ruth Gemmell), è vedova, a differenza della signora Bennet (e per fortuna, perché senza i teatrini tra lei e il marito il romanzo avrebbe perso parecchio). Ha a cuore che la figlia faccia un buon matrimonio, come la nostra amata signora Bennet, ma vorrebbe che l’interesse s’intrecciasse con l’amore, un po’ com’è stato per lei e il marito.
In aggiunta, i Brigderton non sono a corto di denaro e questo lo si comprende fin dal primo episodio, vedendo la loro splendida dimora a Londra e lo stuolo di domestici che li accudiscono.
Ma qual è l’ingrediente davvero vincente di questa miniserie?
Alcuni direbbero, di certo, il duca di Hastings (Regé-Jean Page) che con il suo bell’aspetto ha conquistato una buona fetta del pubblico femminile.
Altri azzarderebbero la rappresentazione piuttosto fantasiosa di una società inglese in cui i neri possono ricoprire anche cariche nobiliari, primi fra tutti il già citato duca di Hastings e nientepopodimeno della regina d’Inghilterra (Golda Rosheuvel).
Altri ancora penserebbero alle canzoni contemporanee riarrangiate da un quartetto d’archi in modo da essere in sintonia con l’ambientazione della serie – la cover Bad guy di Billie Eillish suonata dal Vitamin String Quartet è già nella mia playlist -, le quali fanno da sottofondo agli innumerevoli balli che costellano la vita mondana dei personaggi.
Per me è un nome. Lady Whistledown.
Lady Whistledown è la voce fuoricampo – nella versione in lingua originale è quella dell’intramontabile Julie Andrews – che ci guida tra i balli e i ricevimenti della Londra elisabettiana, portandone a galla il torbido che belletto e abiti eleganti riescono difficilmente a celare.
Ma oltre a essere la nostra guida, Lady Whistledown è anche l’implacabile arbitro della società che descrive. Perché gli scandali che rivela sono riportati su un bollettino pressoché quotidiano che non può mancare in nessuna delle dimore delle nobili casate londinesi. Nemmeno in quella della regina.
La nobile dama, tra l’altro, è anche il più grande mistero della miniserie: nessuno sa chi sia e tutti ambiscono a scoprirlo.
Non trovate anche voi che questa storia, seppur in un’epoca diversa, suoni leggermente familiare?
A me ricorda una voce fuoricampo che con i suoi XoXo e la sua identità nascosta ha tenuto noi italiani con il fiato sospeso dal 2007 al 2014.
Sì, sto parlando proprio di Gossip Girl, le cui sei stagioni sono disponibili sempre su Netflix.
Infatti, il primo giudizio da me espresso su Bridgerston era stato proprio: “Sembra Gossip Girl ambientato in epoca vittoriana”.
Purtroppo il secondo è stato un po’ meno appassionato, perché trovo davvero anacronistica e al limite della fantascienza la presenza di nobili di colore. Sono una sostenitrice dell’inclusione, ma qui siamo al limite dell’assurdo.
Inoltre, a mio avviso ci sono troppe scene di sesso, volte a ingraziarsi una certa fetta di audience, che dopo un po’, per quanto mi riguarda, stufano un po’.
Ad ogni modo, Bridgerton è una miniserie piacevole e la consiglio vivamente a chi cerca una storia romantica in costume senza troppo impegno e troppe pretese.
Francesca Meraviglia
TRAILER UFFICIALE
Foto: courtesy of Netflix
Francesca è un’insegnante e un’appassionata di cultura in generale. Si emoziona di fronte a un testo ben scritto e versa sincere e calde lacrime quando un’opera d’arte le comunica emozioni. Canta a livello amatoriale e crede che la lettura sia il modo migliore per stringere legami forti.
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