Serate casalinghe di prim’ordine su Netflix con la Regina degli scacchi!
Scegliere una serie da guardare su Netflix la sera è sempre un’impresa. Forse proprio perché c’è l’imbarazzo della scelta, la ricerca diventa davvero difficile e spesso si finisce per scorrere in lungo e in largo titoli su titoli, magari anche tenendone presente qualcuno, ma scartandoli tutti perché “troppo lungo”, “troppo impegnativo”, “troppo disimpegnato”, “troppo troppo”. E si finisce per non vedere assolutamente nulla e andare a letto di malumore, consapevoli, e proprio per questo ancor più dispiaciuti, di aver sprecato l’intera serata in una ricerca insoddisfacente e non aver potuto rallegrare quelle ore con la visione di qualcosa di piacevole.
Eppure capitano delle serate magiche in cui gli occhi si lasciano affascinare al primo sguardo da una locandina, da un titolo, da tre scarne righe di trama e il gioco è fatto.
È quello che è accaduto a me qualche giorno fa con La Regina degli Scacchi: la locandina mi ha immediatamente conquistato. Era come se quella giovane dai capelli color rame e dallo sguardo ipnotico con i gomiti appoggiati sulla scacchiera e le mani incrociate al di sotto del mento mi stesse chiamando. Mi fissava pronta a lanciarmi la sua sfida: “Ce la farai ad ascoltare la mia storia?”, sembrava dirmi. Era un richiamo cui non potevo resistere e, completamente stregata da quell’immagine, da quegli occhi in cui brillava tanta spavalderia, ma altrettanto mistero, mi sono tuffata nella visione di questa serie.
Non erano tanti episodi, solo 7 in tutto della durata di 60 minuti ciascuno, perciò non correvo neppure il rischio di restare intrappolata in una di quelle serie interminabili che o finisci tutte d’un fiato in un impeto di insaziabile desiderio di consumo o su cui ti areni, perché resti impigliato in un susseguirsi infinito di episodi e stagioni. Invece, sette era perfetto. Sette come i giorni della settimana, ma ovviamente non sono riuscita a vedere un unico episodio al giorno, perché ne sono rimasta completamente conquistata e ancora oggi, a giorni e giorni dalla fine della visione, non scompare il senso di piacevolezza che è secondo solo a quando hai appena finito di gustarti un gelato al pistacchio.
La Regina degli Scacchi è una serie originale Netflix, scritta e diretta da Scott Frank, nome già noto agli abbonati di Netflix per la miniserie Godless, e tratta dal romanzo di Walter Tevis.
La vicenda ruota attorno a una giovane, Beth Harmon, che a seguito della morte della madre finisce in un orfanotrofio per signorine perbene. Fin dal principio della storia emergono due dei temi portanti della serie. È, infatti, qui nell’orfanotrofio che Beth sviluppa la passione per gli scacchi e la dipendenza per delle strane pillole verdi che vengono distribuite dai responsabili ai bambini, le quali hanno su di lei degli effetti allucinogeni, che migliorano le sue prestazioni di gioco.
Ben presto Beth diviene negli scacchi più abile del suo insegnante, il signor Shaibel. Ancora bambina tiene testa a giovani universitari e solo diciassettenne inizia a sfidare i più famosi scacchisti prima d’America, poi del mondo. Tuttavia, se quando gioca a scacchi, la ragazza si sente sicura e nel posto giusto, ciò non capita in tutti gli altri momenti della sua esistenza. Non è un personaggio estroverso il suo: la solitudine e l’isolamento caratterizzano la sua esistenza, come capita a tutte le creature geniali. Come gli altri non sono in grado di capirla, così lei non è in grado di comprenderli. E la sua impossibilità ad essere normale rappresenta il suo maggior disagio.
A nulla serve cambiare vestiti, cambiare pettinatura o trucco.
L’incomunicabilità tra lei e il resto del mondo permane. L’unico momento in cui sembrano trovare una lingua franca è quando gioca a scacchi ed è grazie al gioco che riesce a farsi degli amici, fondamentali quando starà per toccare il fondo. Tutti uomini. Perché il mondo degli scacchi è un mondo maschile nell’America maschilista degli anni ‘60. Beth è l’unica donna che tiene testa, anzi che fa perdere la testa a tutti i più grandi scacchisti, grazie alla sua bellezza, alla sua intelligenza, ma soprattutto al modo distaccato e disincantato con cui si relaziona con loro. Non si può non fare il tifo per lei, nonostante non sia un personaggio proprio simpatico. Non la si compatisce nemmeno troppo per il suo stato di orfana. Anzi, è più che irritante con quel fare saccente, con quel modo sornione da gatto che gioca con il topo, mentre muove i pezzi sulla scacchiera.
Ho molto apprezzato la scelta del regista di rimarcare la centralità della protagonista rendendola presente in qualunque scena in maniera quasi ossessiva.
Ben si capisce perché nello scegliere colei che avrebbe interpretato il ruolo di Beth, il regista abbia ristretto il campo a pochissimi nomi, tra cui ha subito spiccato Anya Taylor-Joy, che in assenza della sceneggiatura aveva letto e riletto il libro e se ne era immediatamente innamorata. L’attrice è riuscita a calarsi fin da subito nel ruolo della protagonista non lasciando dubbi riguardo a chi dovesse ricoprire la parte.
Inoltre, grazie all’appoggio di alcuni esperti scacchisti, la Taylor-Joy ha davvero imparato a giocare a scacchi.
Ma non è solamente la protagonista, con la sua magistrale interpretazione, a rendere questa serie così coinvolgente. Molto fanno i personaggi comprimari come Moses Ingram (Twelfth Night, The Winter’s Tale, The Tragedy of Macbeth) nei panni di Jolene, Thomas Brodie-Sangster (Wolf Hall, Game of Thrones, Godless) nelle vesti di Benny Watts o Harry Melling (Harry Potter, La Ballata di Buster Scruggs, Waiting for the Barbarians) nel ruolo di Harry Beltik. A fianco di questo cast d’eccezione, non si può non notare l’attenzione particolare per l’ambientazione anni ‘60, in cui tutto è perfettamente intonato: vestiti, trucco, musiche (indimenticabile la scena in cui Beth balla e si ubriaca sulle note di Venus degli Shocking Blue).
Anche la trama, per quanto si allinei all’archetipo del destino dell’eroe, evidenziando chiaramente la ripartizione triadica in ascesa, caduta e ripresa, come in una perfetta sinfonia in cui ogni movimento si affianca senza soluzione di continuità all’altro, è gestita in maniera tale che non annoi. Vediamo Beth affrontare uno dopo l’altro i suoi avversari nella sua affermazione non solo come scacchista, ma anche come donna, senza mai stancarci.
Unica nota dolente: la traduzione del titolo in italiano. Trovo il titolo originale inglese, sia del romanzo sia della serie, “The Queen’s Gambit” (Gambetto di donna), molto più originale ed evocativo. Il titolo originale, infatti, fa riferimento a una particolare apertura nel gioco degli scacchi, alludendo al personaggio di Beth, unica donna in un gioco di uomini, così come la regina è l’unica donna sulla scacchiera, in un modo originale e meno scontato di quanto faccia il suo corrispettivo italiano.
E voi cosa ne pensate de “La regina degli scacchi”?
L’avete già visto o dopo questa lettura vi è venuta voglia di iniziare questa serie? Se non l’avete ancora visto, cos’aspettate? Mettetevi comodi e lasciatevi stupire dai rapidi movimenti di Beth sulla scacchiera. Buona visione!
Francesca Meraviglia
TRAILER UFFICIALE
Foto: ufficio stampa Netflix
Francesca è un’insegnante e un’appassionata di cultura in generale. Si emoziona di fronte a un testo ben scritto e versa sincere e calde lacrime quando un’opera d’arte le comunica emozioni. Canta a livello amatoriale e crede che la lettura sia il modo migliore per stringere legami forti.
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