Recensione di UN DIVANO A TUNISI, la commedia di Manèle Labine al cinema dall’ 8 ottobre 2020.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Manèle Labine
CAST: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled
DURATA: 87’
DISTRIBUZIONE: BIM Distribuzione
USCITA: 8 settembre 2020
RECENSIONE
Dopo anni di formazione a Parigi, Selma è pronta a far ritorno nella sua città natale, Tunisi, per aprire uno studio di psicanalisi. Ma saranno abbastanza maturi i tempi? Tra clienti eccentrici, disordini familiari e ostacoli burocratici, la sua impresa si rivelerà molto più dura (e divertente) del previsto.
Manèle Labine torna alla sua terra d’origine per firmare la sua opera prima: Un divano a Tunisi. Già Premio del Pubblico a Venezia, dove concorreva nella sezione Giornate degli Autori, l’esordio di Labine è una brillante commedia a cavallo fra due mondi: Francia e Tunisia. Anello di congiunzione è la protagonista Selma (Golshifteh Farahani), psicanalista formatasi a Parigi e ora pronta a mettere il suo lavoro al servizio della sua città natale, Tunisi. Ma a solo pochi mesi dalla caduta di Ben Ali, non si rivelerà forse questa una scelta un troppo azzardata?
Catapultata in una città alla volta estranea e familiare, Selma – alterego della regista – finisce infatti per far presto i conti con una civiltà bipolare. In bilico fra tradizione e modernità, avanguardia e reazionismo, dialetto arabo e lingua francese, la middle-class dei sobborghi di Tunisi sembra sempre più disorientata e caotica. Da una parte disperatamente bisognosa di Selma, dall’altra più o meno consciamente portata a sabotarla. Soprattutto se si tratta dei componenti più anziani della sua famiglia o, specialmente, di un poliziotto forse troppo ligio al proprio dovere (Majd Mastoura).
Per me Selma è un mezzo per esplorare il rapporto ambiguo che ho con questo paese che penso di conoscere, di cui parlo la lingua e di cui conosco bene le consuetudini, ma con cui spesso non mi sento in sintonia. Le mie scelte personali e professionali hanno confermato alla mia famiglia tunisina l’impressione che ha sempre avuto di me: quella di una donna strana e atipica. È questo il motivo per cui racconto questa storia da un punto di vista personale, attraverso la lente di una doppia cultura, francese e tunisina.
Partendo dunque da uno slancio personale, Labine riesce a intavolare tutta una serie cliché culturali per riderne sfacciatamente. Niente e nessuno può sottrarsi dalla sua lente d’ingrandimento ironica: politici, padri della psicanalisi, questioni di gender e di femminismo. Tra infiniti siparietti comici e una galleria di personaggi alquanto bizzarra, quello che alla fine si offre al nostro sguardo è il ritratto divertente, scanzonato e variopinto di una simpaticissima società tunisina.
Con una bellissima soundtrack ispirata ai capolavori di Mina (Città vuota e Io sono quel che sono) e un tragico vitalismo dei personaggi che ricorda quasi quello di certa commedia all’italiana, Un divano a Tunisi si rivela una brillante e fresca commedia da recuperare nel weekend. In più, menzione d’onore per Golshifteh Farahani, in grande forma nei panni dell’intellettuale parigina trapiantata «come un cowboy» nel Suv d’occasione. Dall’ 8 ottobre al cinema!
Alessandra del Forno
TRAILER UFFICIALE
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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