Sto pensando di finirla qui: il nuovo film-labirinto di Charlie Kaufman è su Netflix

Recensione di Sto pensando di finirla qui, il film Charlie Kaufman su Netflix dal 4 settembre 2020.

Jessie Buckley in una scena dal film Sto pensando di finirla qui. Cr. Mary Cybulski/NETFLIX © 2020

SCHEDA DEL FILM 

TITOLO ORIGINALE: I’m Thinking of Ending Things
REGIA: Charlie Kaufman
CAST: Toni Colette, Jessie Buckley, Jesse Plemons, David Thewlis
DURATA: 134’
PIATTAFORMA: Netflix
DATA DI USCITA: 4 settembre 2020


RECENSIONE

Lucy sta con Jake da circa due mesi e insieme stanno andando a conoscere i genitori di lui. Durante il viaggio però scopriamo che Lucy vuole interrompere la relazione, ma quando arrivano nella casa dei genitori si troverà invischiata in un vortice di inquietanti viaggi temporali e angosciante alienazione.

Jessie Buckley e Jesse Plemons in una scena del film Sto pensando di finirla qui. Cr. Mary Cybulski/NETFLIX © 2020

Charlie Kaufman, il geniale sceneggiatore (Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello) e regista (Synecdoche, New York, Anomalisa), torna a straziarci il cuore e stregarci la mente con la sua nuova pellicola, Sto pensando di finirla qui, sbarcata su Netflix da pochi giorni.

Autore di alcune delle più originali, eccentriche, dolci e folli storie per il cinema degli ultimi vent’anni, Kaufman torna a scovare dentro la mente dei suoi personaggi proiettandoci ancora una volta nel surreale mondo dell’inconscio, nella intricata ragnatela che abita i nostri cervelli.

Partendo da un plot quasi banale, Kaufman ci trascina in un complicato, contraddittorio e visionario viaggio di personaggi che devono fare i conti con le cose che finiscono, ma anche con quelle che esistono e con quelle che non sono mai esistite.

Kaufman sviscera un’infinità di temi, e fra il surreale e l’estrema concretezza li trasforma in immagini pungenti come lance capaci di trafiggere lo stomaco.

Jessie Buckley in una scena dal film Sto pensando di finirla qui. Cr. Mary Cybulski/NETFLIX © 2020

Riuscitissimo il profilo psicologico di Lucy, l’apparente protagonista del film, il ritratto di una donna tormentata che sente di dover dare qualcosa alla società, una società che si aspetta sempre qualcosa da te. Fra accondiscendenza, passività e pensieri suicidi, Lucy è quella che “non mi avevi detto che aveva anche talento” o che “i miei ti trovano intelligente”, o ancora “la fisica quantistica non è una materia da donne”. Lucy è schiacciata dalle pressioni e imprigionata nelle proiezioni degli altri. La sua vita è il risultato di una catena di sì che portano ad altri sì, e alla fine si trasformano in galere dove non si riesce neanche a descrivere la persona che si ha di fronte.

“L’unico caso in cui un uomo lascia in pace una donna è se lei sta con un altro uomo, come se debba essere rivendicata, come una proprietà”. Una frase che trasuda la terribile attualità in cui viviamo.

Ma senza spoilerare niente, a Kaufman piace ingannare il suo spettatore, cambiare le versioni delle storie, i punti di vista, i nomi dei personaggi, quindi tenetevi forte perché forse Lucy non è la vera protagonista ma solo uno dei tanti fantasmi che popolano questo film.

E poi si parla dei sensi di colpa e delle aree di morte fra genitori e figli, di quanto piccoli eventi accaduti da piccoli possano pesare sulle spalle per tutta un’esistenza, di bellezza e durezza, della fine delle cose, lo scorrere del tempo, la giovinezza contro la vecchiaia, la speranza. Si parla di cinema e di cinefilia, e del fatto che guardare troppi film sia “una malattia sociale”.

David Thewlis e Toni Collette in una scena di Sto pensando di finirla qui. Cr. Mary Cybulski/NETFLIX © 2020

In questa pellicola ogni sezione collabora alla creazione di qualcosa di maestoso, dai dialoghi, come sempre eccezionali, alla scelta di cast (magistrali Colette e Thewlis nel ruolo dei genitori), alla fotografia.

Dominano il buio, la neve, la nebbia, a rappresentare l’interiorità in tempesta dei personaggi. Situazioni che emanano disagio e che sfociano in alcuni momenti quasi horror dove la sicurezza lascia il posto all’inquietudine e all’oscurità che fa breccia anche in momenti che potrebbero essere i più sereni e banali.

Ma nonostante tutte le maschere “non si può fingere un pensiero”. E alla fine come in un incubo in cui tutto sembra fuori posto tranne l’inconscio – che vede al buio sempre meglio dell’io – l’analisi delle informazioni che la storia ci fornisce ci porta alla soluzione, un puzzle in cui alla fine il pezzo mancante che potrebbe dare un senso alle cose è l’amore mancato.

Sto pensando di finirla qui è un labirinto pieno di malinconia che vale la pena cercare di comprendere perché, al di là dell’alto grado di visionarietà, è un poetico e crudele affresco di un’esistenza al tramonto.

Margherita Giusti Hazon 


TRAILER UFFICIALE

Immagini: ufficio stampa Netflix

Leave a Comment