Recensione di COSA RESTA DELLA RIVOLUZIONE: una guida pratica a come sopravvivere al presente col pugno alzato. Al cinema dal 27 agosto.
SCHEDA DEL FILM
TITOLO ORIGINALE: Tout ce qu’il me reste de la révolution
REGISTA: Judith Davis
CAST: Judith Davis, Malik Zidi, Claire Dumas, Simon Bakhouche
DURATA: 88 minuti
DISTRIBUZIONE: Wanted Cinema
USCITA AL CINEMA: 27 agosto 2020
RECENSIONE
Angèle è una giovane urbanista parigina, figlia di due attivisti di sinistra. Cresciuta secondo ideali e principi comunisti, si scontra puntualmente con una realtà priva di valori che non riesce ad accettare. Istituisce un piccolo collettivo civico cercando, con non poca difficoltà, un sereno equilibrio tra impegno politico e sfera familiare.
Judith Davis riveste il triplice ruolo di sceneggiatrice, regista e protagonista di questa opera prima dai toni leggeri che affronta una tematica interessante e poco “battuta” in chiave di commedia: il ruolo della politica nella vita di tutti i giorni.
Il fatto che nasca come pièce teatrale è piuttosto evidente. La regia predilige i personaggi più che i luoghi, i dialoghi più che tecniche cinematografiche particolari. Questi ultimi sono ben studiati, divertenti e caratterizzati spesso da un vero e proprio climax che porta i personaggi, Angèle in primis, a grosse sfuriate.
Si percepisce un certo affetto, una familiarità tra la regista e il personaggio principale, come se la Davis avesse voluto trasmetterle tratti intimi e personali. Questo porta lo spettatore, se non ad una vera e propria empatia con la ragazza, troppo anacronistica ed esagerata, a trovarla però irresistibilmente buffa nel suo andare in giro a calciare bancomat e a leggere poesie all’interno di banche. Allo stesso tempo il suo senso di inadeguatezza suscita tenerezza e la sua caparbietà nel perseguire gli ideali ereditati dal padre, merita ammirazione.
Con un’ironia sofisticata e beffarda, tipicamente francese, Cosa resta della rivoluzione azzarda una critica alla generazione del ’68 e allo scomodo fardello lasciato ai posteri, che si palesa già dai primi minuti del film.
Angèle/Judith non è solo indignata difronte al progressivo imborghesirsi dei sessantottini, ma critica soprattutto il loro atteggiamento denigratorio nei confronti di un qualsiasi movimento politico si sia creato o si venga a creare dopo quella fatidica data. Come se da allora non si avesse più diritto ad un credo, ad un principio, ad un ideale e fosse impossibile unirsi e lottare per uno scopo comune.
Più sommessa, ma ugualmente presente, la critica alla classe politica odierna (non solo in Francia) che sembra concentrarsi più sull’uso di terminologie specifiche e sulla dialettica che sui fatti. Congeniale, in questo senso, l’uso della macchina da presa che rimbalza da un volto all’altro dei partecipanti al collettivo, come fosse lo sguardo attonito ed incredulo dello spettatore che assiste ad una discussione che ha dell’assurdo.
Di questo strampalato collettivo entra a far parte Saïd, un vero entusiasta della vita, che con la sua “verve”, mette in discussione tutte le certezze della protagonista.
E’ l’unico personaggio ad essere proiettato verso il futuro. Non a caso è un educatore e svolge il suo lavoro con i bambini con passione ed impegno, dedicando loro la maggior parte del suo tempo.
Sarà proprio lui a far cambiare prospettiva ad Angèle che, per la prima volta, guarderà con occhi nuovi inizialmente la sua famiglia, intesa qui come primo nucleo sociale in cui ci si confronta, e poi mano a mano la realtà che la circonda.
La giovane si rende quindi conto che suo padre è un inguaribile nostalgico, che sua madre è una donna sola alla ricerca di tranquillità e che sua sorella, apparentemente soddisfatta della sua vita agiata, è in realtà sull’orlo di una crisi di nervi risentendo anche delle forti pressioni lavorative del marito.
Ecco allora che il giudizio impietoso di Angèle su questi tempi moderni piegati al “Dio Denaro”, senza spazi fisici per incontrarsi e parlare (quelli che da urbanista vorrebbe creare lei), si fa più morbido e, pur restando fedele ai suoi principi, trova (finalmente!). Anche il tempo di innamorarsi.
Cosa resta della rivoluzione è un film piacevole, a tratti esilarante, a tratti romantico (bello l’incontro di soli sguardi tra la ragazza e sua madre) non del tutto maturo, un pò ingenuo forse, ma che innesca una riflessione dolce amara per nulla scontata e retorica.
Angèle viene presentata perennemente disillusa, insoddisfatta, frustrata ed è l’immagine simbolo dei suoi coetanei a cui è rimasto solo il fallimento della generazione precedente (lavoro sottopagato quando c’è, precariato, case in affitto, figli dopo i 40 anni…).
Eppure la Davis sembra suggerirci che studiare e conoscere il passato senza rimpiangerlo; vivere a testa alta il presente, con tutte le sue contraddizioni, cercando di seguire i nostri sogni, le nostre ambizioni e provando a comprendere gli altri, a partire da chi ci è più vicino; avere fiducia nel futuro, soprattutto nelle nuovissime generazioni, è la vera formula per cambiare il mondo.
Violetta Biagiotti
TRAILER UFFICIALE
Foto: ufficio stampa
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