L’universo cinematografico dell’hardcore:
storia, teorie e cultura pornografica contemporanea tra contaminazioni delle nuove arti e i confini della sessualità visiva.
Sbarcando dalla nave che lo portò a New York per un ciclo di conferenze, Sigmund Freud mormorò, a proposito delle rivoluzionarie teorie dell’inconscio e della sessualità:
“Portiamo la peste e loro non lo sanno ancora”.
Giocando con un’irriverente iperbole, anche l’invasione dell’universo hardcore nella cultura di massa può essere paragonato a una simile scossa perturbativa che, da fenomeno sordido e borderline, ha inevitabilmente cambiato la percezione del pudore. Non può quindi meravigliare il fatto che sia assurto a oggetto e materia di complessi studi accademici, trovandosi così al centro di una scomposizione fenomenologica che nulla ha da invidiare alle analisi di più blasonate categorie culturali.
All’interno del filone internazionale dei Porn Studies si allinea Il Porno Espanso – Dal Cinema ai Nuovi Media (a cura di Enrico Biasin, Giovanni Maina, Federico Zecca ed edito da Mimesis Edizioni Cinema, pagg. 480), un corposo volume che riunisce una serie di saggi dedicati alla pornografia audiovisiva contemporanea.
I contributi scandagliano la rozza rappresentazione delle sue rigide vetrine in cui viene inscatolata ogni genere di pulsione sessuale e intercettano, se non una vera e propria poetica dell’immagine, un filo conduttore distante dalle superficiali accuse di svilire il corpo femminile. Una materia incandescente, quindi, che parte dalla performance dualistica di attore-spettatore e, senza giudizio alcuno, rileva le conseguenze della sua inarrestabile diffusione nell’era digitale, così come l’imprevedibile innesto con il mondo dei media e le nuove arti.
“I dibattiti sulla legittimità o meno dell’esistenza della pornografia sono impalliditi davanti al semplice fatto che le immagini porno sono divenute una caratteristica pienamente riconoscibile della cultura popolare.” (Linda Williams)
Pornografia come una nuova espressione e categoria artistica? Non proprio.
Negli anni ’70 si osserva un tentativo, pur caotico quanto vitale, di elevare la carica sovversiva del suo contenuto con sperimentazioni visive ma, nel pieno della Golden Age of Porn – splendidamente raccontata da Paul Thomas Anderson in Boogie Nights, 1997 – ha mestamente preso atto che l’inizio e la fine della sua esistenza, donare il piacere della carne ai suoi eclettici spettatori, è proprio ciò che impedisce di creare, se non a frammenti, un proprio linguaggio visivo e il conseguente trasformarsi in una compiuta prassi culturale. I margini dell’hard sono quindi gli stessi che danno forma compiuta alla sua presenza, mettendo un freno ben più limitante dell’avviso censorio di un “Vietato ai Minori”.
Nemmeno il suo ingresso tra grandi e piccoli schermi, in constante ricerca di nuove idee per riparare al loro deserto di inventiva, riesce ad assegnarli parvenza di dignità.
Così, i feticci del porno perdono la loro carica sovversiva non appena si mostrano in allusive pubblicità, quando avvolgono il corpo di pop star minorenni nei loro videoclip bollenti, sempre più simili alle stelline sgranate dell’Hard. Oppure inoculano, in pellicole d’autore, inserti in primo piano di genitali di gomma e scene sessuali simulate. Il cinema mainstream, decide e utilizza, in modo strumentale, le atmosfere riconoscibili dell’hard ma, con la loro esplicita, dichiarata finzione, ne prende meschinamente le distanze.
Oscillando tra soggetto di puro e materiale consumo e i codici dell’immagine, unico alfabeto in comune con le nobili arti visive, il porno-universo supera questo confine schizofrenico tendendo sempre più alla sconcezza. Non solo per compiacere i propri voyeur ma per trovare anche il suo limite, la demarcazione del proprio cattivo gusto. Così, in un ipocrita rigurgito di puritanesimo, mentre il regista Max Hardcore (nomen omen) viene condannato a 46 mesi di prigione per oscenità, la sua stessa industria cinematografica lo disprezza perché colpevole di produrre un porno troppo estremo, non piacevole da guardare.
Questa affermazione, che può far sorridere, è assai emblematica:
“nel porno esiste qualcosa che non sia già insito nell’ osceno? Quali sono i parametri per giudicare un porno piacevole da uno che non lo è?”
Le risposte, tra analisi estetiche e di contenuto, sembrano allontanarsi sempre più dalla primaria versione fallocentrica dell’essere riusciti o meno a eccitare lo spettatore. Se la schiavitù del piacere lega, a doppio nodo, l’energia produttiva dell’hard al consumo compulsivo dei suoi amatori, forse è il caso di ripensare a nuovi immaginari di genere che tracciano inconsueti sentieri tra la carnalità e la soglia del virtuale.
Questo allontanamento dal corpo fisico verso la realtà aumentata sarà la nuova peste dei 2000?
Silvia Levanti
SCHEDA LIBRO
Il Porno Espanso – Dal cinema ai nuovi media
Autori: Enrico Biasin, Federico Zecca, Giovanna Maina
Pagine: 480 pagine
Editore: Mimesis (15 marzo 2011)
Collana: Mimesis-Cinema
ISBN: 978-8857504926
Il libro è disponibile anche su Amazon.it
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