Un cast che emoziona ne Il Bacio della Donna Ragno. La recensione del musical andato in scena al Teatro Comunale di Bologna.
Sipario. Applausi.
Il teatro a luglio va in vacanza: è tempo di musica, tributi e anteprime per la prossima stagione.
E così, prima di distenderci sui lettini da spiaggia con buoni libri e tanta voglia di relax, ecco che il sipario si riapre ancora una volta.
Perché il pubblico è in piedi e applaude. E’ commosso e entusiasta.
Gli attori si inchinano e ricevono i meritati riconoscimenti.
La mia stagione teatrale di quest’anno si è chiusa in bellezza e la bellezza va sempre raccontata.
Mi sono seduta in poltrona venerdì 21 giugno al Teatro Comunale di Bologna, fresco nonostante la calura. L’ente lirico si è mostrato nel suo splendore, fatto di palchetti finemente decorati, dal loggione e al centro, sotto il palco, l’orchestra. Questa sera e per le cinque repliche de Il Bacio della Donna Ragno, dal 19 al 23 giugno, i musicisti sono stati diretti da Stefano Squarzina.
Il sipario, con la raffigurazione di una gigantesca tela di ragno, si alza lentamente e il pubblico si trova lì, con i prigionieri in carcere, aggrappato alle sbarre per gridare la propria innocenza, la libertà, i diritti umani violati.
Gianluca Sticotti indossa una vestaglia azzurra a fiori, come fu per William Hurt nell’omonimo film del 1985, basato sul romanzo di Manuel Puig. E’ Molina e racconta di Aurora e di tutte le volte che l’ha vista al cinema: è il suo modo di sopravvivere alla spietata detenzione. E lei appare, come in un sogno: Simona Distefano ammalia e seduce, con il canto e la danza, impeccabile e inafferrabile, come la diva del cinema amata da Molina.
Una dea. Che appare e scompare, nei panni delle donne dei film visti da Molina quando era bambino.
Aurora è affascinante tra le piume di struzzo verdi o nel completo bianco da gangster, è lei che lo porta simbolicamente Over the wall, oltre le sbarre, oltre l’incubo. E’ questo il sogno nel quale Molina si è rifugiato per sopravvivere nelle carceri argentine. Siamo negli anni Settanta in piena dittatura militare.
Gianluca Sticotti emoziona nei panni del vetrinista omosessuale accusato di aver approfittato di un minorenne. «Non sapevo fosse minorenne», si giustifica lui la prima volta che il nuovo compagno di cella gli urla addosso di tacere, di limitarsi a poche parole, di non superare la linea di confine che ha tracciato per terra, simbolo di quella differenza che c’è tra di loro.
Brian Boccuni è Valentin che entra così nella vita di Molina, arrabbiato e chiuso, disposto a morire per la causa politica, resistente nonostante le torture. Sudato, sporco, sulla scena è un Valentin forte e diffidente. Non dirà mai i nomi di chi ha aiutato a scappare, di chi ha avuto da lui passaporti falsi per provare ad assaporare la libertà. Valentin non si fida di nessuno, tanto meno di uno così diverso da lui: un omosessuale che sfoggia foulard e turbanti, come se fosse una star del cinema.
Gianluca Sticotti è un Molina delicato e pungente, capace di trasmettere la fragilità dell’essere se stessi e di farsi amare. Brian Boccuni è un Valentin rabbioso e disposto a tutto per la sua causa, intenso interprete della sofferenza e della miseria che ha vissuto il suo personaggio.
Molina è un’anima pura, che si prende cura di Valentin. Lui, che ha provato solo deprivazioni, inizia a raccontarsi. Poco alla volta, sperando che un giorno, Someday, we’ll be free, nessuno possa mai provare quella disperazione.
Il regista Gianni Marras mette in scena un cast impeccabile: Sticotti, Boccuni e Distefano danzano le coreografie di Gillian Elisabeth Bruce che lasciano senza fiato. Un fiore di piume intorno a Molina e Valentin, i ricordi della lotta di piazza e le candele che inneggiano alla speranza, i passi concitati dei detenuti oltre le sbarre, i medici vestiti di verde intorno alla barella di Molina, il tango con la Donna Ragno.
I cambi di costumi (splendidi, di Massimo Carlotto) sono veloci e perfetti così come i cori che richiamano i sentimenti e le illusioni dei due protagonisti. Il musical, infatti, si avvale della direzione vocale di Shawna Farrell, direttrice della BERNSTEIN SCHOOL OF MUSICAL THEATER (BSMT) che con Il Bacio della Donna Ragno, celebra i dieci anni di collaborazione con il Teatro Comunale.
Un musical che è quasi un’opera lirica o semplicemente un’opera d’arte.
Sorprendente la capacità di trasformarsi di Francesca Taverni, nei panni della madre di Molina: lei che ci aveva detto che sul palco non si invecchia mai, qui invece è davvero anziana, dimessa e preoccupata. E’ accanto a suo figlio, lo cura e lo sostiene.
«Hai mangiato?» Gli chiede e gli fa avere sempre del cibo, anche per Valentin. La voce della Taverni rassicura e consola così come quella di Marta, la donna che chiama nel sonno Valentin.
Interpretata da Caterina Gabrieli, appare nei sogni di Valentin, è il suo angelo custode e il suo sogno impossibile: altro rango, alta società, niente a che fare con la lotta politica. Ma l’amore, si sa, non ha regole e arriva inaspettato, quando non ci speravi più. L’amore, quello vero, ha mille forme diverse e altrettante sfumature. L’amore fa Miracoli.
Applausi e applausi.
Mi guardo in giro e qualcuno asciuga una lacrima, quella che fa versare la Donna Ragno nell’idea originale di Kander & Ebb. Io resto in piedi e il teatro si svuota. Tento di decifrare le mie emozioni. Bellissimo, sono senza parole (e rimanere in silenzio per me è cosa difficile) e non ho bisogno di niente: non ho fame, non ho sete, non ho sonno.
Sono in pace con la bellezza che ho appena visto.
Chiedo di poter salutare Francesca Taverni che ha chiacchierato con me pochi giorni fa. E dietro le quinte incontro Raffaele Latagliata. Ho timore, ma lui scherza e mi sorride. Lo spettacolo è finito, ha smesso i panni del direttore del carcere, è vero, eppure quel suo essere spietato e cinico sul palco mi è rimasto ancora impresso. Così come i due aguzzini e gli altri interpreti (Cesare Soffiati, Marco Savorelli, Giorgia Visca, Paolo Cantele, Alessio Anselmi, Pierluigi Cocciolito).
Ci penso. Penso allo spettacolo per giorni. Ed è una sensazione che mi capita solo con certi libri, certi film e certe opere teatrali.
Il sipario è calato davvero e anche il teatro ha chiuso i battenti.
Ascolto i commenti di un pubblico entusiasta e commosso: Lo rivedrei mille e una volta ancora, Chissà se lo faranno anche a Milano.
Voci e consensi.
Il sipario si chiude; io apro il pc e scrivo. Perché la bellezza va condivisa.
Sipario.
Sarah Pellizzari Rabolini
Per rimanere aggiornati: www.tcbo.it
si ringrazia l’ufficio stampa per il supporto
Sarah è un’insegnante e una scrittrice. Ha pubblicato poesie, racconti e romanzi (l’ultimo è R come Infinito). Ha partecipato a diverse antologie tra cui La Vita vista da Qui (Morellini Editore), è stata finalista di concorsi e premi letterari. Pratica la mindfulness ogni giorno e crede che scrivere sia una vera terapia per l’anima.
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