La recensione di Ancora un giorno, il documentario animato di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, tratto dal capolavoro di Kapuściński, dal 24 aprile al cinema.
Settembre 1975, Angola. Il successo della Rivoluzione dei Garofani ha spianato la strada a una generale guerra di decolonizzazione portoghese. Luanda è il centro dell’anarchia. Mentre i negozi abbassano le saracinesche e la città rimane nelle mani dei gruppi di resistenza armata, Ryszard Kupuściński fa il suo ingresso in città. É l’inizio di un viaggio lungo tre mesi che darà origine a uno dei suoi libri più belli e conosciuti, Ancora un giorno.
A 40 anni di distanza da quel momento Raul de la Fuente e Damian Nenow decidono di riadattare il romanzo in un documentario animato di altissimo livello. Un documentario pensato per i virtuosismi della graphic novel ma integrato con la potenza delle testimonianze in live action. Il risultato è un film poetico e visionario, vicino per bellezza a quel capolavoro che quasi dieci anni fa era stato Valzer con Bashir.
Già miglior film d’animazione all’European Film Awards del 2018, Ancora un giorno arriva ora nelle nostre sale per ricordarci lo spessore morale di un giornalista come pochi. Un reporter pronto a tutto pur di difendere gli ideali ugualisti e umanitari in cui credeva. E un testimone insostituibile di quei biechi giochi di potere che USA e URSS attuarono sullo scacchiere africano in tempo di guerra fredda.
Ryszard Kupuściński, ricordato affettuosamente dagli amici come “Ricardo”, è corrispondente estero in Africa dell’Agenzia Stampa Polacca. Grazie al suo viaggio apparentemente di non ritorno da Luanda a Pereira d’Eça ci porta a scoprire fatti e personaggi memorabili. Dalla giovane guerrigliera Carlota all’eroico comandante Farrusco, dalle disperate resistenze dell’ MPLA agli spietati omicidi dell’UNITA. Da quello che significa far dipendere la tua vita da un saluto («camerada» o «irmão»?) a quello che significa possedere un’informazione in grado di mutare il corso della guerra fredda.
Ancora un giorno è un film su come l’etica umana debba per forza scontrarsi coi limiiti del giornalismo imparziale. E soprattutto su come un processo di decolonizzazione possa brutalmente trasformarsi in una guerra civile. Un moto di liberazione in una generale confuçao. È in questo clima di disintegrazione che la stessa realtà pare trasformarsi in un incubo lucido. Carrarmati e proiettili si sfibrano come molecole di tempera sotto effetto dell’adrenalina e della paura. Vecchi banchi universitari diventano schegge di memoria tra cui fluttuano vittime, superstiti, protagonisti di una vita passata…
In appena 85 minuti un team di 200 esperti è riuscito a restituirci tutto ciò con estrema e rarissima potenza narrativa. Ancora un giorno ci si offre come una vigorosa istantanea a colori sui modi di una guerra fratricida, sporca, e sui valori etici (quasi autodistruttivi) di reporter d’eccezione. Il risultato è un documentario epico, spiazzante, unico nel suo genere. Capace di mantenersi fedele a uno dei suoi assunti principali: «La povertà non può parlare quindi ha bisogno di qualcuno che parli per lei». E di ridare dignitosamente voce a una determinante ma impolverata pagina di storia mondiale. Dal 24 aprile al cinema!
Alessandra del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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