Recensione del film biografico Una giusta causa con Felicity Jones e Armie Hammer, tratto dalla storia vera del giudice Ruth Bader Ginsburg. Al cinema dal 28 marzo 2019.
Il 28 marzo arriva nei cinema il film biografico sulla vita di Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti e una delle sole nove donne che nel lontano 1956 venne ammessa al corso di legge della prestigiosa Università di Harvard.
Andiamo con ordine e cominciamo dall’inizio. Ovvero da una giovane Ruth che, forte della sua smisurata passione per la legge e della sua determinazione, s’iscrive all’università, in un tempo in cui lo studio non era certo una prassi per le donne. Seguiamo i suoi inizi; il suo ritrovarsi in un’aula piena di uomini; la sua ricerca di un lavoro in uno studio legale consono alla sua preparazione; gli anni dedicati all’insegnamento… insomma, niente viene dimenticato all’interno di una sceneggiatura fedele alle regole del biopic, come da migliore tradizione hollywoodiana.
Il momento della svolta nella vita e nella carriera di Ruth arriva da un piccolo caso di discriminazione di genere. Charles Moritz è un uomo di Denver che si è dovuto prendere cura, insieme ad un’infermiera, della madre malata e gli viene negata una deduzione dalle tasse di circa $ 1000 in quanto uomo. Ruth coglie l’occasione per impugnare la causa e farne l’inizio della sua battaglia personale contro le discriminazioni basate sul sesso. Riesce a creare un precedente nella storia della legislatura statunitense e fa rendere incostituzionali tali leggi.
Se nella prima mezz’ora del film assistiamo alla formazione della giovane donna, dal momento in cui si passa all’impugnazione del caso, diveniamo testimoni della crescita e della creazione non solo del futuro giudice della Corte Suprema, bensì anche del personaggio che è diventato nel corso dei decenni.
Per quanto riguarda la parte tecnica non si può dimenticare il cast di primissimo livello.
Una bravissima Felicity Jones interpreta Ruth Bader Ginsburg nel corso di un ventennio. Grazie al suo lavoro di ricerca, e al fatto di aver passato del tempo con lei nella vita reale, riesce a non scivolare mai nell’epico. La sua Ruth è infatti anche una donna, una mamma e una moglie. E con questo ruolo l’attrice, già candidata al premio Oscar per La teoria del tutto, ha la possibilità di portare sullo schermo un personaggio a cui riesce a dare un’interpretazione convincente, evidenziando ogni suo aspetto, da quello più umano a quello più rigoroso e deciso.
Insieme alla Jones, che ovviamente la fa da padrone, troviamo Armie Hammer nei panni del marito, Martin Ginsburg. Anche lui riesce a dare al personaggio la credibilità richiesta. E dipinge non solo un uomo innamorato ma soprattutto un complice e un socio al 100% della moglie.
Completano il quadro Kathy Bates (chi non la ricorda in Misery non deve morire?) nel ruolo dell’avvocato Kenyon, femminista e fondatrice dell’ACLU, organizzazione impegnata nella difesa dei diritti civili in America; e Justin Theroux, legale che affianca Ruth nel caso Moritz.
La regista Mimi Leder riesce a imporre la sua mano da action movie, e di serie TV di qualità (Deep Impact tra i primi e The Leftovers, proprio con Theroux, tra le seconde) ad una storia che trae beneficio dalla regia decisa e dalla sua lettura contemporanea e convincente.
Ovviamente non mancano i grandi classici delle pellicole di genere come, ad esempio, il climax dell’arringa finale (oltre cinque minuti di monologo della Jones) che porta alla risoluzione del caso e alla consacrazione della protagonista.
Ma Una giusta causa non si ferma qui. In tempi di rinnovato femminismo e di sensibilità sul tema delle discriminazioni di genere, questo lungometraggio aggiunge una voce in capitolo sui diritti. Diritti che nel 2019 dovrebbero essere scontati ma, purtroppo, non lo sono ancora.
Lungi dall’essere un film-denuncia o particolarmente rivoluzionario, ci regala comunque l’occasione di immergerci in un paio di decenni perfettamente ricostruiti, in modo non troppo patinato. E di godere di un’altra storia con una forte protagonista femminile, cosa che, per fortuna, sta accadendo sempre più spesso.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.
Scrivi un commento