Recensione del film La promessa dell’alba con Pierre Niney e Charlotte Gainsbourg tratto dall’omonimo romanzo basato su una storia vera.
Florence Foster Jenkins, Edward D. Wood Jr., TommyWiseau – e l’elenco potrebbe andare avanti: che cosa hanno in comune questi tre personaggi realmente esistiti su cui sono stati realizzanti altrettanti biopic?
Determinazione e una buona dose di follia e visionarietà, tutte caratteristiche che non facilitano la vita ma che sono fondamentali per realizzare un sogno.
L’ultimo film di Eric Barbier, La promessa dell’alba, è la storia vera dello scrittore francese Romain Gary. Il racconto di un uomo che non si ferma di fronte a niente pur di realizzare il suo destino. Di un uomo, e dell’amore folle fra lui e sua madre, un amore opprimente e ingombrante, ma anche tenero, totale, ai limiti del surreale.
Ispirato all’omonimo romanzo di Gary uscito nel 1960 e incentrato proprio sul suo rapporto con la madre, La promessa dell’alba è un viaggio che attraversa la Storia in cinque continenti diversi. La Polonia degli anni ’20, il Messico degli anni ’50, e poi il deserto africano, Nizza, Parigi, e Londra sotto i bombardamenti.
Romain Gary (da bambino, adolescente e adulto interpretato da Pawel Puchalski, Némo Schiffman e Pierre Niney) ha vissuto una vita straordinaria. Ma questo impulso a diventare un grande uomo e un celebre scrittore è merito della madre Nina (una Charlotte Gainsbourg mai così “fisicamente” convincente) che ha sempre avuto una grande visione di lui e del suo futuro.
Una vita sul palcoscenico, da cui non si può scendere mai, neanche dopo la morte.
Madre e figlio sono una vera e propria coppia. Il regista ci tiene proprio a sottolineare questo legame a tutti gli effetti amoroso: d’altronde i due sono il fulcro delle loro esistenze, le figure secondarie sono ridotte a mere sagome, non fanno parte del progetto.
Ad aprire il film una sequenza che ha il sapore del sogno, un quadro onirico ovattato dove scopriamo subito quale sia la grande visione che Nina ha di suo figlio e cosa i due dovranno affrontare per realizzare questo ideale. Come sempre tutto ha un’origine e così, come nel libro, anche nel film grande importanza ha una scena di violenza subita da Nina a cui il Romain di 9 anni assiste, impotente, da sotto a un tavolo.
Da quel momento Romain avrà solo una scelta: finchè avrà vita, proteggere, difendere, vendicare e soprattutto rendere felice e orgogliosa sua madre.
Per farlo dovrà diventare ambasciatore di Francia, grande seduttore, eroe di guerra, scrittore di best seller internazionali.
E così, dalle pagine allo schermo, trascorrono 30 anni di vita surreale ai limiti del grottesco, del megalomane, del mitomane, del rocambolesco, fra grandi possibilità e occasioni mancate. Una vita vissuta con quella tensione al romanzesco che rende grande sempre e comunque ogni piccola poca, anche le più miserabili.
Adattare un libro è “un esercizio di lealtà”, dice Eric Barbier, e in effetti il suo è un lavoro dove si percepisce la forte volontà di rispettare il testo più intimo di Gary. Gli unici due interventi grossi (a parte i tantissimi e obbligatori tagli di scene) riguardano la ricostruzione del contesto storico e un montaggio temporale diverso.
Barbier ha l’enorme merito di essere riuscito a realizzare non il classico biopic, ma un film d’avventura, una storia epica dove tragedia e speranza convivono in modo simbiotico.
Ma quello di Nina è davvero un sogno tanto assurdo? Pretendere che il proprio figlio diventi un uomo forte, leale, capace di proteggere le persone che ama, un uomo con delle passioni e dei desideri, che sappia riconoscere il bene dal male, capace di lottare contro i potenti e i malvagi, gli stupidi e i cinici?
Oggi una donna del genere sarebbe giudicata ai limiti della pazzia perché siamo abituati a persone molli, malleabili, accondiscendenti, e questo lentamente sta distruggendo le nostre ambizioni e i nostri sogni. Sempre a dire di sì, sempre a sacrificarci (per cosa, poi?), sempre a scegliere la via dove possiamo investire il meno possibile a livello di energie e di emotività, dove ci siano meno rischi e meno possibilità di fallire.
Ecco, la storia di Gary – come quella della donna più stonata al mondo che voleva diventare una grande cantante lirica, o quella dei due cineasti considerati i peggiori della storia del cinema che nonostante tutto sono andati avanti a fare film perché solo quello li faceva sentire vivi – ci ricorda che la vita è solo una e viverla inseguendo un’idea, per quanto folle, è l’unica strada verso la vera essenza di noi stessi.
In tanti, dopo aver visto La promessa dell’alba, vi domanderete: avere una madre come Nina Kacew è una maledizione o una benedizione? Io non mi sento di giudicare una donna realmente esistita che per il figlio ha sacrificato ogni cosa. Però di una cosa sono certa.
Quando esci dal cinema hai voglia di rivoluzionare la tua vita, e questo non è fantastico in tempi in cui sembra che tutti vogliano solo schiacciarti?
Margherita Giusti Hazon
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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