Recensione di Kusama – Infinity, il documentario di Heather Lenz su una delle artiste più famose e controverse del nostro secolo, Yayoi Kusama. Dal 4 marzo al cinema.
Iniziò tutto da un Black Iris. La giovane Yayoi Kusama, classe 1929, sentì che in quel dipinto a olio di Georgia O’Keeffe c’era qualcosa che parlava di lei. Sapeva che avrebbe voluto intraprendere la stessa carriera di pittrice, che avrebbe voluto esporre anche lei i propri schizzi floreali, le proprie opere astratte… Ma come? Negli anni immediatamente antecedenti – e poi contemporanei – alla guerra, le risposte, nel suo reazionario paese natale (Matsumoto, Giappone), non erano poi molte.
Nacque così, da una lettera alla persona giusta – Georgia O’Keeffe – e da una vorace ambizione artistica, il lungo e travagliato viaggio di Yayoi Kusama nel mondo dell’arte globale. Un viaggio senza fondamenta e apparentemente itirnerante, diviso fra una madrepatria ormai estranea e una metropoli ancora da scoprire. New York. In mezzo solo il fortissimo, e a tratti disperato, slancio a farsi apprezzare da un mercato dominato quasi solo e unicamente da artisti uomini, uomini occidentali.
Il documentario di Heather Lenz segue con gioia e scioltezza tutte le tappe di questa “infinita” e variopinta ascesa di una donna, dei suoi kimono, dei suoi puntini. Passando attraverso le zone d’ombra di un disturbo mentale, di un rapporto ambivalente col mondo del sesso, di un ciclo di sabotaggi ed autosabotaggi continui… In 78 minuti questo brillante documentario ci offre uno sguardo inedito sulla vita e i retroscena di un’icona dell’arte vivente.
In particolare, vengono ripercorse, attraverso interviste e materiali d’archivio, le opere di una pioniera a cavallo fra due dei più importanti movimenti artistici del XX secolo: Pop Art e Minimalismo. Per un risultato che spazia dal dipinto alla performace, dalla scultura morbida all’installazione, dalla letteratura al design. Heather Lenz ci mostra – in una parola – come Yayoi Kusawa passi dall’essere l’imbucato sgradito alla festa (la Biennale di Venezia ’66, quando pretendeva abusivamente di vendere la propria arte «come si vende un hot dog») all’esserne diventata l’ospite d’onore. Il riferimento è alla stessa Biennale, solo 27 anni più tardi, quando una sua Personale la consacra come artista più rappresentativa del Giappone.
Oggi Yayoi Kusama vive e lavora a Tokyo, dove ha inaugurato il proprio museo con la mostra Creation is a solitary pursuit, Love is what brings you closer to Art. La durissima parentesi newyorkese (1958 – 1973) è tra i fattori che l’han spinta a stabilirsi nell’ospedale psichiatrico Seiwa. Ma all’età di quasi 90 anni continua a creare opere in cui dominano, come disse Marc Jacobs, «intensità e ripetizione». In particolare, le sue Infinity Mirror Room, i suoi Infinity Net e alcuni componenti della Sex Obsession sono oggi un fenomeno virale. Distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema, Kusama – Infinity è dal 4 marzo disponibile nelle sale. Non perdetevelo!
Alessandra del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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