Fatih Akin, dopo aver vinto l’Orso d’oro con La Sposa Turca torna alla Berlinale con The Golden Glove (Der goldene Handschuh). Un film differente dai precedenti, che attinge da fatti di cronaca nerissima. Una pellicola che riporta in vita un serial killer e mostra la sua fragile persona e le sue nefandezze. Un’opera che alla prima, tra fischi e applausi, si è fatta decisamente notare.
Il regista tedesco ha portato in Concorso un horror e parte della platea non l’aveva previsto.
Eh già, su un horror nella Competizione Internazionale della terza kermesse cinematografica per importanza (dopo Cannes e Venezia) non ci avrebbero scommesso in molti, per almeno un paio di motivi. La sezione in cui gareggia e l’anno in cui siamo, l’ultimo di Dieter Kosslick.
Partiamo proprio da questo dettaglio di non poco conto. Il festival di Berlino come lo conosciamo noi è merito del suo storico direttore. Sono state le sue scelte e le varie prese di posizione negli anni a dare l’attuale connotazione alla manifestazione. E’ lui a suggerirvi di andare a Cannes per i lustrini e il gossip perché al Suo festival si va per il cinema – anzi, l’ottimo cinema d’autore, aggiungiamo noi. Ed è sempre lui ad invitare a spese proprie i membri del partito di ultra destra tedesco alla proiezione di Chi scriverà la nostra storia. Secondo voi un uomo con gli attributi di questa caratura avrebbe escluso un’opera dalla Selezione Ufficiale solo perché con scene orripilanti? Oppure perché sono i suoi ultimi mesi in carica? Nein! E ha fatto bene.
Se il lungometraggio di Akin è un buon film di genere ha diritto a competere per l’Orso d’oro. Fatevene un ragione.
Appunto parliamo del genere. Ora, quando leggiamo storia vera + cronaca nera/ serial killer ad un festival, nella nostra testa sfilano titoli diversi tra loro ma del tenore di Pulp Fiction (la cui violenza è stemperata da un umorismo caustico); Funny Games di Haneke (uno psico-thriller autoriale) e l’irraggiungibile Arancia Meccanica (quasi una tesi di sociologia in salsa grottesca). Non siamo preparati a vedere una mattanza fine a sé stessa, un’esplosione di follia che produce ettolitri di sangue e chili di carne putrida. Un horror voyeuristico, ubriaco e lercio da far venire il vomito. No quello non lo consideriamo possibile.
Eppure è appena accaduto. The Golden Glove è lurido e rancido al punto, ho letto da qualche parte, da avvertire l’odore di carne marcia nel naso. E quando sei un cultore non solo della versione romantica del genere, una simile frase ti provoca una insostenibile curiosità. La mia in questo momento.
Ma ora occupiamoci della rabbia. Perché una fetta della critica è furibonda con Akin?
La mia sensazione e che non avesse capito che, sebbene la stessa cartella stampa lo dica apertamente, avrebbe visto un horror di quelli duri (!) oppure che manchi di dimestichezza con la paura su grande schermo. Sia ben chiaro, essere impermeabili a film simili non è per nulla scontato. Sono girati in modo da importi un braccio di ferro con le tue paure e con il tuo stomaco. Ma in certi commenti avverto una sorta di rancore da fidanzatina tradita. Che fossero tutti entrati in sala convinti di vedere un dramma su un poveruomo? Come è possibile… i fatti – quelli veri – sono raccapriccianti!
Il killer di Amburgo.
Si chiamava Fritz Honka e la sua è una di quelle storie che fanno accapponare la pelle sin dal principio. Nato a Lipsia nel 1935, finisce presto in un campo di concentramento per bambini. Liberato dai russi, inizia a fare dei lavoretti e nel 1951 si sposta ad Ovest. Si sposa, ha dei figli ma la vena violenta e l’inclinazione al bere sono una costante. Come se non bastasse, un incidente stradale nel 1956 gli disfa i connotati.
La sua vita non spicca il volo anzi… Sempre più in balia dell’alcolismo, Honka vive ai margini di Amburgo quando inizia ad uccidere. Le sue vittime sono prostitute, non giovani, poco avvenenti, della cui mancanza nessuno si accorgerà. Le conosce al bar, quel Golden Glove che dà il titolo alla pellicola, le attira nel suo appartamento, le strangola e le fa a pezzettini. Pezzi che nasconde in casa e in solaio. Cela la puzza con un gran numero di Arbre Magique mentre i vermi iniziano a piovere negli appartamenti sottostanti. Le autorità non si palesano sino a quando i pompieri, chiamati per un incendio nel palazzo, trovano un torso umano parzialmente decomposto. Il 15 luglio 1975 Honka viene infine arrestato.
Con una storia simile direi che i cazzotti nello stomaco al cinema siano assicurati. Arriviamo quindi alla presentazione in Berlinale di The Golden Glove.
Fatih Akin e il suo lungometraggio.
Basato sul libro di Heinz Strunk, presente anch’egli a Berlino (e soddisfatto del risultato finale), è il ritratto di un mostro, di un serial killer che, seppur disgustoso, è un essere umano. Si ricostruisce la follia, si parla di violenza sulle donne e di attaccamento alla vita. E probabilmente essere coscienti che tutto quello a cui si assiste non solo sia possibile ma addirittura documentato, rende più indigeribili le immagini.
Ci sono immagini, infatti, dedicate all’orrore. Non celebrano la violenza ma la fanno vedere per quello che è, e hanno indotto alcuni ad andarsene anzitempo. D’altro canto i produttori assicurano che degli psicologi fossero presenti sul set per supportare gli attori durante le riprese quindi non deve essere stato semplice imboccare la via del realismo a discapito dell’audience. Nessun ha negato davanti alle telecamere che il film sia forte e non per tutti. Le altre informazioni, invece, sono tutte disponibili in rete.
Ora, la cosa bizzarra è che, a parole c’è una moltitudine di indignati (un rapido giro su Google vi fugherà ogni dubbio), nei fatti però i diritti per la distribuzione son andati a ruba ancor prima della conferenza stampa. Che la Warner abbia preso un abbaglio oppure sia più lucida di noi stamattina?
Vissia Menza
n.d.r. se vi siete persi gli articoli precedenti sulla Berlinale 2019, un clic qui per leggere il nostro diario giornaliero. Per tutto il resto il sito ufficiale è www.berlinale.de
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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