I NOMI DEL SIGNOR SULČIČ: una memoria italo-slovena firmata Elisabetta Sgarbi

La recensione de I nomi del signor Sulčič, il nuovo misterioso film di Elisabetta Sgarbi sul potere della memoria, dal 7 febbraio al cinema.

Locandina italiana del film I nomi del signor Sulčič

Irena, Ivana e Elena sono tre donne coinvolte nella misteriosa ricerca di un’identità perduta. Sara Rojc è la defunta donna ebrea da cui si diramano le ricerche. La Sinagoga di Trieste il luogo da cui lentamente si iniziano a comporre pezzi di un puzzle intricatissimo. I nomi del signor Sulčič, ultima regia Elisabetta Sgarbi, si fa indagine di questa enigmatica storia di dolore, morte e agnizione all’indomani del dopoguerra italo-sloveno.

Tra cimiteri ebraci, spie naziste ed ex militari titini si innesta una storia privata che parla attraverso le parole di almeno due grandi icone pubbliche. Quella di Battiato, firmatario della colonna sonora, e quella di due grandi rappresentanti della cultura mitteleuropea: Claudio Magris e Giorgio Pressburger. Fugaci comparse oniriche, i due sembrano quasi ricordarci che il film della Sgarbi è qualcosa di molto diverso dalle prove documentarie cui finora ci ha abituato.

La sceneggiatura, scritta a quattro mani col collega editore Eugenio Lio, prevede infatti una commistione fra sguardo documentario e narrativa finzionale. Il modello cui si rifà è il cineasta portoghese Manoel de Oliveira, ma non manca anche un omaggio a Zurlini e a certa cultura ferrarese. I nomi del signor Sulčič appare così, proprio come le identità dei suoi protagonisti, un film molto ricco e sfuggevole alle catalogazioni.

Gabriele Levada e Camilla Boneschi in una scena del film I nomi del signor Sulčič – Photo: courtesy of Istituto Luce Cinecittà ©

«Risvegliare la memoria non è sempre un bene» dice quasi in incipit uno dei suoi personaggi. E infatti tutti gli 80 minuti di film sono all’insegna della ricostruzione di una memoria molto pericolosa. La memoria di due genitori che forse non sono stati quello che dicevano di essere. E di due figli che forse, dopo tanti anni, hanno finalmente la possibilità di ritrovarsi e recuperare il tempo perso. Ma avrebbe senso? Il finale, con il suo lapidario «portami via la memoria e non sarò mai vecchio», sembra dare circolarmente una risposta a tutti gli interrogativi apertisi durante il tragitto.

«Portami via la memoria e non sarò mai vecchio» è la frase che chiude il film, il verso di un poeta ferrarese che mio padre amava molto e che ho voluto inserire nel film. Perché è sì un film sulla memoria, sul passato che si riaffaccia, su fantasmi – molto poco immateriali – che sorprendono il presente di un uomo che vive, ignaro, la sua vita. Ma è anche un film che celebra la sfrontatezza del vivere, di potere dire di no al cumulo del passato e della storia. A volte, un gesto liberatorio è un gesto di libertà.

Ambientato tra Trieste, Lubiana e Tolmin, il film fa leva sulla forza di tre caratteri femminili molto diversi. Quello curioso e determinato di Ivana (Ivana Pantaleo), quello sfacciato e pragmatico di Elena (Elena Radonicich), e infine quello seducente di Irena (Lučka Počkaj). Affascinato e, in parte, manipolato da quest’ultime due c’è Claudio (Gabriele Levada), vero ma inconsapevole protagonista della storia.

Storia, purtroppo, molto ambiziosa nel contenuto ma fin troppo limitata nella realizzazione. Le capacità degli attori risultano infatti quasi schiacciate sotto al peso di certa artificiosità di dialoghi. E la trama, così accattivante da principio, finisce in realtà per perdersi nella ricerca di quell’equilibrio che tanto anelava. Ne risulta così una visione piuttosto confusa e sicuramente poco empatica. Peccato, tanto più che quello che avrebbe potuto essere un film di profondo respiro storico risulta poco più di un interessante esercizio di stile (la fotografia è di Andres Arce Maldonado). Lo trovate al cinema dal 7 febbraio per onorare il Giorno del Ricordo, che cade il 10, e soprattutto il 9 sera al Mexico con tanto di regista e cast in sala!

Alessandra del Forno

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