L’Uomo Dal Cuore Di Ferro: Reinhard Heydrich, la mente dietro alla “soluzione finale”

Recensione de L’Uomo Dal Cuore Di Ferro, il film tratto dal libro di Laurent Binet sulla storia vera del Macellaio di Praga, con Jason Clarke e Rosamund Pike. Al cinema dal 24 gennaio 2019.

La locandina italiana del film L’uomo dal cuore di ferro

Il nome di Reinhard Heydrich potrebbe non essere fra i più conosciuti dell’organigramma del regime Nazista, ma l’ufficiale militare divenuto braccio destro di Himmler fu senza dubbio una delle figure chiave nell’ascesa e nell’affermazione del Reich e, soprattutto, il primo e fondamentale teorico dell’infausta Soluzione Finale.

Di lui parla il romanzo parte storia parte fiction HHhH (acronimo di Il cervello di Himmler, uno dei famigerati soprannomi di Heydrich) di Laurent Binet, inquadrato su grande schermo dal regista Cedric Jimenez.
Una voce militante che ricostruisce non solo l’ascesa granitica di Heydrich ma anche la sua fine per mano di un nucleo di resistenza armata cecoslovacca.

Citando i sempre puntuali Offlaga Disco Pax, L’Uomo Dal Cuore Di Ferro sembra l’evoluzione dei film da Tele Capodistria, “dove i tedeschi erano cattivi e i partigiani buonissimi e intelligentissimi: un paradiso socialista.”

La cui prima metà si concentra sul diabolico gerarca (Jason Clarke, gestito bene), che sacrifica persino la bella moglie (Rosamund Pike, gestita male) per sgomitare ed entrare nelle grazie del Führer e lì, complici il fascino e l’intensità del terrore storico, la storia incede a ritmo di marcia militare, tiene e sale di giri.

Poi, con stacco stridente, rimbalziamo nei segreti bugigattoli della resistenza di Praga e del loro piano di riscossa per mandare un segnale alle alte sfere naziste, ed è qui che l’asino casca, trascinando con sé nel burrone sceneggiatura, ritmo, pathos e un po’ di altre cose.

Jason Clarke e Rosamund Pike nel film L’uomo dal cuore di ferro – Ph: Videa Spa

La condizione dei partigiani cechi non è il mio forte, ma la restituzione by Jimenez non convince: tra disinibizione sessuale, balli scanzonati e abbigliamento trendy (ripreso poi dagli hipster milanesi, a quanto pare) l’attentato ai tentacoli totalitaristi diventa un airbag semplicistico.

C’è spazio anche per un paio di sequenze sparatutto, quasi action, lunghe e sbagliate, totalmente fuori contesto in un racconto che punta all’animo e non alla mitraglia.

Nella scelta narrativa dualistica si perde l’orientamento, mentre nella poco nota storia di Heydrich ed oppositori le eterne lotte tra il bene e il male e tra il coraggio e la prepotenza sono le versioni opache di cento altre (in questo senso andrebbe ad esempio rivalutata la trasversalità di Remember di Egoyan). La prosa compassata batte, anzi straccia, la poesia.

Unificare il film sotto un unico linguaggio – anglofono in originale, che diventerà italiano – è il colpo di grazia. Per facilitare la visione dei pigri, sfumano realismo e geolocalizzazioni. Non poco.

Luca Zanovello

 

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