La recensione di Benvenuti a Marwen, il nuovo film di Robert Zemeckis al cinema dal 10 gennaio 2019.
Ci sono storie che meritano di essere raccontate e storie che sembrano nate apposta per diventare un film. In taluni casi, hanno entrambi i requisiti. La storia di Mark Hogancamp è una di queste. Mark è un noto illustratore col vizio dell’alcol quando una sera, all’uscita di un locale, un gruppo di balordi lo riduce in fin di vita per una frase che le loro menti ottuse hanno ritenuto fuori posto.
Mark sopravvive all’aggressione ma le conseguenze sono catastrofiche: non ricorda nulla del suo passato e le sue dita sono ridotte così male da rendergli impossibile governare una matita. Ha l’esistenza distrutta. Ma, dicevamo in apertura, la storia vera dietro a Benvenuti a Marwen, il lungometraggio diretto da Robert Zemeckis di cui parliamo quest’oggi, supera la fantasia: il nostro uomo ha una mente creativa che lo salverà imboccando una via a dir poco fantastica.
MARK HOGANCAMP
Per riuscire a non farsi sopraffare dai propri demoni, Mark costruisce una fantomatica città belga in miniatura che chiama Marwencol. La riporta all’epoca della seconda guerra mondiale e la popola di soldatesse capitanate dal mitico pilota Hogie. Hogie è un eroe e, come immaginabile, è il suo alter ego. Sul campo di battaglia, nel retro del suo giardino (!), l’artista si circonda di figure forti che lo portano al riscatto.
Tutto è riprodotto in modo estremamente realistico. E le storie che mette in scena – e fotografa con una vecchia macchina 35mm (!!) – gli danno un motivo per cui continuare a combattere nel mondo reale dove, ogni giorno, trascinando una mini-jeep colma delle sue fidate amazzoni, si reca al lavoro e sbriga le commissioni basilari. La vita di Hogancamp cambia quando il vicino di casa, un fotografo (!!!), vede i suoi scatti, che spesso e volentieri ritraggono scene e momenti dal forte impatto emotivo. Da qui in poi è un successo.
IL FILM DI ZEMECKIS
Ora, un racconto di rinascita e determinazione simile, in mano al regista di Ritorno al Futuro e Forrest Gump, non può che diventare una pellicola in grado di attirare il grande pubblico, in barba alle critiche che aleggiano in rete. Critiche, in alcuni casi, acidine. Benvenuti a Marwen è un lungometraggio privo di eccessi che sa tenerci attenti per tutte le sue due ore di durata (minuto più o minuto meno).
Il compito di dare un volto a Hogancamp è stato affidato all’ottimo Steve Carell e meglio di lui avrebbe potuto fare solo quel fuoriclasse di Robin Williams che – ahinoi – se n’è andato quattro anni orsono. La fotografia è curata, l’alternanza tra le avventure delle action figure e quelle dei personaggi in carne e ossa è ben bilanciata e la noia rimane lontano giacché, a suo tempo, i fatti di cronaca non hanno avuto una eco sui nostri giornali. Nessuna sbavatura eclatante, quindi, la narrazione fila sino ai titoli di coda, eppure si rincasa con una sensazione di incompiuta.
Cosa manca in Benvenuti a Marwen? Credo che latiti la passione, quella determinazione che invece pare essere il propellente quotidiano del signor Hogancamp. E, nonostante questa storia sia arrivata al momento giusto (tocca temi caldi come le dipendenze, l’omofobia e lo stress post-traumatico), non conquista i nostri cuori.
Il motivo? Non osa. Zemeckis ha scelto la dolcezza ma non ha raccontato una favola, non le ha dato il tempo di sbocciare riportandola di continuo alla realtà. Una realtà che non riesce a mostrare sino in fondo perché il dolore e il turbamento son costantemente interrotti dall’irrompere dei pupazzetti. Soprattutto, il regista ha infranto la mia personalissima speranza di utilizzare quel mondo di bambole per addentrarsi in una mente distrutta, privando le scene violente ivi presenti di qualsivoglia logica.
In definitiva, l’equilibrio raggiunto da Benvenuti a Marwen diviene il suo peggior nemico e lo tramuta in un film carino ma facilmente dimenticabile.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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