La recensione di VICE – L’UOMO NELL’OMBRA, il film di Adam McKay con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell e Sam Rockwell al cinema dal 3 gennaio 2019.
Correva l’anno 2015. Un simpatico regista statunitense metteva insieme la crème de la crème hollywoodiana per servire uno dei più gustosi film sul trading della storia. Qualche mese più tardi, quel film era già conteso dai migliori buffet della cinematografia mondiale: BAFTA, Golden Globes, Premi Oscar… e si apprestava a lasciare Los Angeles niente meno che con l’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale sotto braccio. Quel film era La grande scommessa e il suo simpatico regista: Adam McKay.
Oggi, a distanza di tre anni, la storia sembra sul punto di ripetersi. E più in grande! La crème è sempre la stessa: Christian Bale e Steve Carrel nei ruoli principali, Dede Gardner e Jeremy Kleiner alla produzione (che ora include anche Brad Pitt), Nicholas Britell alle musiche e quel prodigio di Hank Corwin al montaggio. Più una straordinaria Amy Adams nel ruolo di co-protagonista. La crème è sempre la stessa, dunque, ma la ricetta è leggermente cambiata e il risultato… è un piatto da vera Guida Michelin!
Vice – l’uomo nell’ombra è – come forse la scena che più lo consacrearà alla storia – una lauta cena di turpitudini a cinque stelle. Un viaggio in gessato tra i cunicoli più sporchi della storia americana. È – in una parola – quel biopic sui conservatori che i liberali di tutto il mondo stavano aspettando. Eppure, allo stesso tempo, non è nè un film sui conservatori nè sui liberali. È solo la semplice, ma in fondo incredibile, storia di un uomo, Dick Cheney, divenuto nel giro qualche decennio da operaio del Wyoming a presidente de facto degli Stati Uniti d’America.
Interpretato da un Christian Bale celestiale, Dick Cheney è il protagonista silenzioso di una storia lunga mezzo secolo. Una storia iniziata nel 1969 col timido tirocinio sotto l’ala di Donald Rumsfeld (Steve Carrel) e finita nel 2009 tra i dossier presidenziali di George W. Bush (Sam Rockwell). In mezzo solo un cursus honorum da cardiopalma (in tutti i sensi) e un’infinita varietà di scelte politiche opinabili. Tutte prese in nome di quel principio per cui nelle mani del presidente riposano sia potere esecutivo che legislativo, ossia: il principio dell’esecutivo unitario. Semplicemente tradotto in: «Qualsiasi cosa faccia il presidente è legale».
È da questo principio che si diramano come lingue di fuoco le audaci allusioni al Watergate, alla baia di Guantánamo, al waterboarding e a tutte le altre forme di tortura avvallate dagli USA negli anni del terrorismo post 11 settembre. Fino ad arrivare ai reali moventi della guerra in Iraq e Afghanistan, nonchè ai modi in cui il quarto potere dei giornali può davvero trasformarsi in una spietata macchina mediatica.
La regia di McKay restituisce tutto ciò con una raffinata e sfacciatissima vivacità intellettuale. La sua sceneggiatura è un bolide di 132 minuti che sfugge veloce alla noia e alle catalogazioni. Il montaggio un capolavoro d’attrazione che sembra quasi più figlio di certo cinema russo che americano. Il magnetico protagonismo delle parti solo la ciliegina finale. Il risultato è un film spiazzante, geniale, con la forza d’urto di un documentario e l’epicità di certo cinema di fiction. Uno dei migliori film del 2018, se solo qui non fosse uscito nel 2019. Dal 3 gennaio nelle sale!
Alessandra del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.