Recensione di Old Man & The Gun l’ultimo film con Robert Redford tratto dalla storia vera di Forrest Tucker, al cinema dal 20 dicembre 2018. 

old man and the gun poster

La locandina italiana del film Old Man & the Gun

Dalla storia vera del criminale gentleman Forrest Tucker, passando per il libro biografico di David Grann (Civiltà Perduta), Old Man & The Gun arriva al cinema per raccontare le singolari imprese di un rapinatore da guinness, longevo e felice.

E’ il 1981: le banche degli Stati Uniti vengono alleggerite da Tucker (Robert Redford) e i suoi due soci (Tom Waits e Danny Glover), artisti attempati della rapina pulita e senza spari.
Sulle loro tracce il detective John Hunt (Casey Affleck) e l’attenzione dei media, più affascinati dai modi gentili e dalla scaltrezza della banda dei nonnetti che allarmati dalla costante minaccia.

Dietro alla dinamica guardie-e-ladri c’è un personaggio post-Dillingeriano, unico nella sua etica personale e “professionale” come Tucker: non solo criminale incallito dai 15 anni in poi, ma anche carcerato seriale e funambolo dell’evasione (storica la sua fuga da San Quintino, a settant’anni, a bordo di un kayak costruito in stile Art Attack). Di più, addirittura filosofo della ricerca della felicità attraverso i prelievi bancari non autorizzati e una vita nelle porte girevoli della giustizia.

Robert Redford in una scena del film Old Man & the Gun

Robert Redford in una scena del film Old Man & the Gun – Photo: courtesy of BIM Distribuzione

Dietro di lui, poi, c’è Robert Redford che saluta la recitazione interpretando magistralmente l’anziano con la pistola mai usata, che sorrideva durante le rapine e anche durante gli arresti, perché per lui quello non era un modo per (soprav)vivere, ma l’intrinseco senso di orgoglio, identità e del vivere stesso.

Old Man & The Gun, diretto con ironia da David Lowery dopo il malinconico exploit di Storia Di Un Fantasma (2017), nasce per “celebrare” il personaggio di Tucker e finisce per celebrare più la leggenda Redford e il suo testamento.
E’ questo quello che rimane di più, dopo un rapido e indolore film biografico “selettivo” di insolita leggerezza e leggiadria narrativa che tuttavia, forse proprio per questo e per la precisa volontà di non gravare sulla digestione, si dimentica di dare direttive emotive e sembra in lotta contro il tempo, anche in sequenze che danno la sensazione di meritarne di più; è il caso dell’accenno alla figlia lasciata per strada da Tucker, o di alcune implicazioni nel tenero legame del protagonista con il personaggio di Sissy Spacek.

C’è però da dire che in un periodo di film farciti all’eccesso, è un sollievo una volta tanto trovarne uno che è come un ospite sobrio e coscienzioso: di gradevole e dosata compagnia, che non si trattiene più del dovuto e lascia la casa come l’ha trovata.

Forse non lo inviterete una seconda volta, almeno non a breve, ma è stata una serata significativa.
Voto: 6,5/10

Luca Zanovello