Recensione del film Il Castello di Vetro con Woody Harrelson, Naomi Watts e Briel Larson, tratto da una storia vera. Al cinema dal 6 dicembre.
Jeannette Walls è una ragazzina sveglia, ha gli occhi grandi e curiosi di vedere il mondo e la voglia d’imparare tipica di tutti i bambini. Nelle sue giornate deve fare i conti con chi la circonda, ovvero gli amichetti e soprattutto i fratelli e i genitori. Jeannette ha una famiglia non proprio convenzionale. I suoi genitori sono, infatti, due spiriti liberi e ribelli, refrattari alle regole e alle costrizioni, che hanno cresciuto i figli spostandoli da una città all’altra, da una casa malridotta ad una sul punto di crollare a pezzi, per sfuggire sia ai paletti imposti dalla società sia, in primis, ai numerosi creditori.
Rex, il carismatico e camaleontico padre famiglia, è un uomo tanto fantasioso nell’insegnare ai bambini la storia, la geografia e l’astronomia, quanto incapace di tenersi qualsiasi lavoretto utile a sfamare tutti.
La madre Mary Rose invece è una pittrice e sognatrice, più intenta a curare le sue tele che i figli i quali, secondo lei, devono essere in grado di arrangiarsi da soli, dal cucinare all’aggiustarsi i vestiti.
I fratelli vivono in un mondo parallelo, una bolla fatta di gioco e libertà da una parte ma di sregolatezza e contraddizioni dall’altra. Questa mancanza di regole fa sì che Jeannette trascorra tutta l’adolescenza pensando solo a una cosa: ad andarsene e a crearsi una vita sua fatta d’indipendenza ma anche di successo e conformismo.
Il castello di vetro è tratto dall’omonimo libro della Walls stessa, diventata giornalista ed autrice di successo. Il romanzo ha vinto diversi premi ed è da anni nelle classifiche dei più venduti e tradotti.
La trasposizione in pellicola ha sicuramente tra i suoi punti di forza gli attori, tutti carichi da dieci.
Woody Harrelson riesce a dar forma a tutte le contraddizioni di Rex, un uomo che ama profondamente i figli ma non sa calarsi nei panni del padre convenzionale. L’istrionico attore, indiscussa icona tanto di cinema blockbuster quanto di cinema indipendente, dona al personaggio il giusto equilibrio, regalando credibilità ad un inguaribile sognatore che passa dalla violenza verbale, di quando è ubriaco, alla dolcezza con cui promette ai figli di costruire loro il tanto inseguito castello di vetro.
Naomi Watts, dal canto suo, si cala bene nei panni della donna con la testa tra le nuvole che vive solo dei suoi pennelli e delle sue tele. L’atteggiamento scanzonato verso il mondo, ma allo stesso tempo profondamente ancorato ai valori della famiglia del personaggio, si percepisce in ogni suo movimento.
Anche la protagonista, la brava e pluripremiata Brie Larson, sa dare tridimensionalità ad una ragazza che combatte con la propria infanzia – salvo, una volta adulta, cercare di farci pace. Solo dopo anni capirà, infatti, che la sua ricerca della felicità attraverso il successo (e una casa elegantissima ma spoglia, l’esatto contrario del caos in cui è cresciuta) non sarà mai compiuta fino a quando non comprenderà il valore della sua fanciullezza, così sregolata quanto, però, traboccante amore.
I punti deboli del film, purtroppo, sono la regia e la sceneggiatura che non arrivano a donare il giusto risalto ad un romanzo che invece su carta ha funzionato benissimo.
Il regista indipendente Destin Daniel Cretton non pare saper tenere in modo saldo le redini di un racconto che meritava una mano decisa ed esperta. Con una direzione abbastanza piatta e senza un obiettivo preciso si perde, tra l’altro, quel senso epico che probabilmente altri avrebbero saputo imporre alla storia.
Forse è stato proprio il fatto di avere difronte una trama di per sé forte e ben definita a rivelarsi un’arma a doppio taglio. Lo spessore del messaggio, unito alle assurde avventure di una famiglia quantomeno originale, ha indotto a credere che fosse sufficiente. Purtroppo non è così. Una produzione poco definita, sia in fase di adattamento che di regia, ha impedito che le lecite aspettative si realizzassero.
Queste mancanze della pellicola sfortunatamente la assimilano più a un prodotto televisivo che ad uno cinematografico. Durante le due ore (troppe) in cui si dipana il viaggio della Walls, ci sono diversi momenti di stallo in cui si smarrisce la direzione.
Quello che rimane è una rappresentazione piuttosto monodimensionale e piatta, seppur in grado di mandare un messaggio positivo. La vera felicità spesso va cercata fuori dagli schemi e sono proprio gli affetti che ci fanno più male ad accompagnarci sempre, a diventare il pezzo mancante del puzzle che andrà a completare la nostra vita e a instillarci quel pizzico di follia necessaria per poter dire di essere, alla fine, davvero felici.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.