Recensione di Santiago, Italia, il nuovo documentario di Nanni Moretti dal 6 dicembre al cinema.
Cile, 1970. Per la prima volta nella storia del paese (se non dell’intera America Latina) l’ingresso nel Palacio de la Moneda è fatto da un presidente di dichiarata simpatia marxista. Medico, leader di Unidad Popular, amico e compañero di Pablo Neruda, il presidente in questione porta niente meno che il nome di Salvador Allende.
Il documentario di Nanni Moretti parte proprio da qui, da Santiago, dagli anni in cui la via cilena al socialismo sembrava lastricata di grandi speranze e nobili propositi. Dagli anni in cui il sogno «umanista e democratico» di Allende sembrava una realtà possibile. Ma approda poi in Italia, fra le case e le testimonianze di quei rifugiati che, all’indomani del golpe del ’73, qui trovarono asilo.
È un post-11 settembre particolare quello che racconta Moretti, molto meno conosciuto di quello del 2001, ma altrettanto determinante per quanto riguarda le sorti politico-sociali di un paese. È il brusco arrestarsi di un processo di democratizzazione sotto i colpi del regime autoritario di Pinochet – rilegato sempre (intelligentemente) fuori campo. È la straziante odissea dei prigionieri politici, ora stipati nello stadio nazionale, ora torturati tra le mura di Villa Grimaldi. Ma è anche la felice storia di un’ambasciata italiana solidale, aperta, volenterosa, che ha davvero salvato la vita a milioni di loro.
Santiago, Italia è la ricostruzione di tutto ciò attraverso le parole di quei diplomatici, registi, artigiani, militari, dottori che davvero vissero la condizione di asilados sulla propria pelle. E’ la ricostruzione in 80 minuti di quello che significa avere un’identità divisa fra una terra madre e una terra matrigna, dove non è ben chiaro quale delle due sia cosa. Ed è, infine, un documentario sui cileni di oggi nell’Italia solidale di ieri; eppure, allo stesso tempo, un documentario sui cileni di ieri nell’Italia populista di oggi.
Tra i sorrisi e le lacrime si ripercorre una storia d’accoglienza e integrazione che ha dell’incredibile. E che solo apparentemente sembra riecheggiare la famosa formula del «ni perdón ni olvido». Perchè invece di perdono ce n’è eccome. C’è verso i delatori che hanno rivelato il nome di un compagno sotto tortura. E c’è, in fondo, anche per quella generazione di ex militari, ora incarcerati, che potrebbero essere i nostri nonni. Ma non c’è oblio, quello no. Santiago, Italia è un piccolo monumento della memoria. E come tale andrebbe visto e maneggiato.
Moretti con la sua prospettiva indiretta, avvolgente, forte di una ricca carica emotiva, dà origine a un film intelligente e sensibile. Classico nell’impostazione e tagliente nei contenuti. A completare il corredo qualche gemma di repertorio e un montaggio equilibrato delle interviste. Il risultato è la lucida fotografia di un’epoca che guarda al passato ma parla inevitabilmente (e drammaticamente) al presente – e lo fa con quattro semplici parole: «Io non sono imparziale». Per tutti coloro che già lo amavano dal cinema di fiction, ecce… documentario! Dal 6 dicembre nelle sale!
Alessandra del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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