La recensione in anteprima di Non ci resta che vincere (Campeones), il film di Javier Fesser campione di incassi in Spagna nei nostri cinema dal 6 dicembre 2018.
Marco (Javier Gutiérrez) è un allenatore di basket ad alti livelli. Spocchioso e prepotente, sta passando un periodo della sua vita che lo rende frustrato e insoddisfatto. Dopo un litigio sul lavoro che gli costerà la carriera, beve qualche bicchiere a un bar e messosi alla guida ha un piccolo incidente. Viene arrestato e il giudice commuta la sua pena da 90 giorni di prigione a tre mesi a contatto con dei disabili di cui diventerà allenatore.
Un pretesto banale quello di Fesser, che però gli permette di indagare in maniera veritiera e naturale, quante barriere può costruirsi l’uomo comune davanti a qualcosa che non conosce.
L’atteggiamento di Marco quando incontra la sua nuova squadra è tra l’incredulo e il disperato. Non sa approcciarsi a queste persone seppur da subito si dimostrano molto aperte nei suoi confronti. Le definisce subnormali, mongoloidi; è convinto che non riusciranno mai neanche a prendere una palla in mano, figuriamoci a disputare una partita. Il suo è un atteggiamento di superiorità.
Inutile dire che, col passare dei giorni, l’allenatore inizierà a conoscere sempre più i suoi allievi, apprezzandone di ognuno le peculiarità, creando un gruppo coeso e, con l’aiuto della compagna Sonia (Athenea Mata), a scalare la classifica del campionato a cui la squadra è iscritta.
A ben vedere, la sceneggiatura (dello stesso regista insieme a David Marqués) non ha nulla di originale. Scorre lineare senza grandi colpi di scena e anzi, volendo fare i pignoli, alcuni personaggi, come la madre e la compagna di Marco, sono veramente delineati con pochi tratti sfocati.
Eppure il film funziona.
Fesser ha capito subito di dover puntare sui personaggi e lo fa in maniera brillante. Non solo sceglie un cast di veri disabili mai stati prima d’ora su un set cinematografico, ma li glorifica facendo sì che diventino loro, coi loro gesti, la loro fisicità, le frasi reiterate all’infinto, le cantilene…i protagonisti assoluti.
Gutierréz, che è un ottimo attore, diventa così la loro spalla, riuscendo a tirar fuori tanta esilarante spontaneità.
E’ racchiusa qui la magia del regista che riesce ad emozionare attraverso una risata sincera.
Non è mai facile trattare il tema della disabilità senza scadere nella retorica, nella commozione forzata. Fesser, invece, ci dà modo, in maniera delicata e vera, di approcciarci a questo gruppo di persone come se li stessimo conoscendo personalmente. E ognuno di loro, con la sua particolarità, ci colpisce positivamente. L’ipocondriaco, il ragazzo che ti abbraccia forte, l’unica ragazza del gruppo che si esprime a “parolacce” sono fantastici singolarmente, e una forza della natura quando sono insieme.
L’autore non sembra volerci dire il classico “siamo tutti uguali”, bensì “siamo tutti diversi, rispettiamoci”. Ed è un messaggio importante in tutte le epoche, a tutte le età, in tutte le classi sociali. Perché ancora tutti noi, come Marco, (si veda la scena dell’autobus) non riusciamo a vedere al di là del nostro naso e non riusciamo ad avere un atteggiamento di apertura nei confronti di ciò che non è già noto.
L’intero film è pervaso da un clima scanzonato di gioia e di risate. In fondo, ci riconosceremo in Marco, soprattutto quando arriverà a capire che l’unico che ha dei problemi, è proprio lui. Grazie ai suoi nuovi amici riuscirà a confrontarsi con la sua “allergia” alle responsabilità e con il suo solito scappare davanti alle avversità della vita. Riuscirà anche a tenersi per sempre accanto la sua Sonia, decidendo finalmente di provare ad avere un figlio.
Non ci resta che vincere diverte, è vero, ma non mancano scene più toccanti, come quella della doccia ad esempio, in cui uno dei componenti della squadra vince una delle sue più grandi paure grazie alla passione per gli animali. O quella, naturalmente, della partita finale che è un tripudio di felicità: vincenti, avversari, pubblico sono tutti travolti da questa ondata di entusiasmo.
Aver scelto lo sport, il basket in particolare, come sfondo a una storia così piacevole e diretta, è un altro dei meriti di Fesser. Sport visto come qualcosa che unisce, che diverte, che fa bene alla salute fisica e mentale, che crea grandi amicizie.
A livello prettamente tecnico poi, è anche un pretesto che gli permette di rimarcare le sue doti registiche. La partita finale infatti, anche grazie ad un ottimo montaggio, è ben girata, crea momenti di pathos ed emoziona lo spettatore che naturalmente tifa per “Los Amigos”, la squadra di Marco.
Non ci resta che vincere è una commedia brillante dal messaggio potente.
Campione d’incassi in Spagna, è stato scelto per concorrere agli Oscar del prossimo anno.
Sarebbe un’idea intelligente proporre la visione di questo film all’interno degli istituti scolastici. Nel frattempo possiamo godercelo al cinema da giovedì 6 dicembre.
Violetta Biagiotti