BOHEMIAN RHAPSODY: di Freddie Mercury, dei Queen e di sei minuti che cambiano la vita

Recensione di Bohemian Rhapsody, il film su Freddie Mercury e i Queen con Rami Malek al cinema dal 29 novembre 2018. 

La locandina italiana del film Bohemian Rhapsody

Un discografico di strette vedute (Mike Myers) dice al giovane Freddie Mercury (Rami Malek) che un singolo radiofonico di sei minuti è sconsigliabile perché dura una vita. Il non ancora affermato frontman dei Queen risponde “mi dispiace per tua moglie se pensi che sei minuti siano una vita”.
La linea più sagace di Bohemian Rhapsody, impunemente bruciata nel trailer, contiene quasi tutta l’essenza del suo protagonista: prontezza da performer, una sconfinata ambizione tendente alla megalomania, la consapevolezza del punto di partenza dei suoi Queen e il punto di arrivo.
Così come il punto di svolta, quell’undicesimo brano di A Night At The Opera (1975) che titola il film di Bryan Singer e che rappresentò l’azzardo, la scommessa e l’atto di coraggio della leggendaria band inglese.

Il biopic su Freddie Mercury e soci arriva in sala dopo una produzione faticosa, l’abbandono dell’interprete originario (Sacha Baron Cohen) e una lente narrativa che si è voluta (o voluta?) spostare, stesura dopo stesura, da un racconto Freddie-centrico a un mix più equilibrato con ascesa e avventura di gruppo.

una scena del film Bohemian Rhapsody – Photo: courtesy of 20th Century Fox

Un film tartassato non solo da problemi interni ma anche da un’accoglienza snob: ed è qui, cari miei, che dovrò scegliere se indossare il togone da critico o la canottiera bianca da concerto.
Ma chi voglio prendere in giro, se pur di vivere l’atmosfera Queen mi accontentai della versione con Paul Rodgers?

Bohemian Rhapsody fa decisamente il suo dovere, che non è quello di essere onnicomprensivo e nemmeno obiettivo.

Ma è quello di intrattenitore. Raffigurando con relativa fedeltà il ciclo solare di un personaggio unico, che proprio come un astro durante la sua traiettoria illumina e brucia, alimenta e fagocita chi gli gravita attorno.
Dai compagni di band alla donna che può amare part-time, dalla famiglia di origini parsi ai suoi “innumerevoli amanti”.

Non sapremo mai come sarebbe stato il Freddie un po’ più torbido di Baron Cohen, ma sappiamo che la metamorfosi estetica, mimica e corporea di Rami Malek (al netto di dentoni alla Fonseca clamorosamente eccessivi) è impressionante.

Rami Malek in una scena del film Bohemian Rhapsody – Photo: courtesy of 20th Century Fox

Singer cattura quel che serve, in primis l’evoluzione multiforme del protagonista, una “regina isterica” dalla gloria kitsch che lo fa librare sopra le teste di noi comuni mortali, tappando le buche di sceneggiatura con entusiasmo ed eclettismo art rock, grandi comprimari (Gwilym Lee, dillo che sei figlio illegittimo di Brian May!) e un ottimo montaggio.
Coprendo anche altri aspetti più insidiosi, come la sfarzosa solitudine di Freddie, i suoi capricci e le idiosincrasie con la band, si delineano con stile rispettoso.

Bohemian Rhapsody sarà pure imperfetto qua e là, agiografico e con l’inevitabile lip-sinch di Malek sui brani di Freddie, ma distante miglia dalla delusione che molti professano.
E poi, a chi serve fare le pulci “tecniche” a un film così? Infilatevi in quella tutina aderente, cantate e poche storie.

Voto: 6,5/10

Luca Zanovello

 

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