Recensione del film Le Ereditiere, primo lungometraggio di Marcelo Martinessi dal 18 ottobre al cinema.
Dopo essersi conquistato a Venezia 73 il Premio Orizzonti per il meraviglioso corto La voz perdida, Marcello Martinessi è pronto a esordire quest’anno sul grande schermo con il suo primo lungometraggio, Las Herederas. Distribuito in Italia col titolo Le Ereditiere, la prima prova al lungo di Martinessi ha già avuto modo di farsi abbondantemente conoscere a Berlino. Tra i premi vinti infatti appena qualche mese fa primeggiano niente meno che l’Orso d’Argento per la Miglior Attrice e il Premio Fipresci della critica internazionale.
Tra l’imperversare di certi giganti messicani (Iñarritu, Del Toro, Cuarón), quella dell’intimo e delicato cinema paraguayano è senz’altro una bella, bellissima, sopresa. Una sorpresa che ha il profumo delle case dei vecchi e i modi di certa aristocrazia latino-americana in declino. Martinessi, forte di un cast femminile davvero eccezionale, riesce a prendere uno spaccato di vita comune e a restituircelo con infinita delicatezza ed eleganza d’immagini. Bastano un’automobile, qualche sigaretta, un vassoio d’argento…
Una delle mie zie avea sempre un vassoio con sé, come quello che abbiamo usato nel film. Su quel vassoio aveva acqua frizzante, acqua naturale, caffè, un piccolo taccuino, il suo rosario, le sue pillole. Quel vassosio è diventato per me un punto di riferimento, un simbolo, una sorta di guida per le simpatie e le ossessioni della protagonista.
Le ereditiere di Martinessi sono donne forti, donne anziane, legate da una profonda tenerezza e dai comfort di una vita agiata. Un’accusa di fronde è però quanto basta per rivoluzionare la vita delle due: carcerata Chiqui (Margarita Irun) e improvvisata taxista Chela (Ana Brun). La comparsa di una terza donna, Angy (Ana Ivanova), è la chiave di svolta in una vita apparentemente destinata alla privazione e al compromesso. Tra i taciti moti dell’orgoglio, della complicità e della passione prende splendidamente corpo un film che sembra richiamare alla memoria certo dramma da camera fassbinderiano. E che ci lascia totalmente spiazzati di fronte l’estrema autenticità e naturalezza d’intepretazione.
La macchina da presa di Martinessi indugia ora su queste dinamiche, ora sugli oggetti che ne fanno parte, con tatto e discrezione, senza temere i silenzi o i tempi lunghi. Anzi, prediligendo i giochi di sguardi, di specchi e l’estetica delle piccole cose. Il risultato è un lungometraggio audacemente semplice, delicato; estremamente allusivo, eppure, allo stesso tempo, lucidamente esplicito (l’attrazione omoerotica, la depressione…). Per tutti questi motivi – aldilà di qualche imperfezione – e per il merito di tenere alta la bandiera del cinema latino-americano, Le Ereditiere è senz’altro una pellicola da recuperare nelle sale. Dal 18 ottobre al cinema!
Alessandra del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.