Fahrenheit 11/9 il film di Michael Moore che sogna di rendere l’America GREAT

Un commento a Fahrenheit 11/9, il nuovo documentario di Michael Moore, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e in sala il 22 – 23 – 24 ottobre 2018. 

Ieri ho visto Fahrenheit 11/9, il documentario di Michael Moore che ha debuttato alla Festa del Cinema in corso a Roma. Ho pianto. Esatto, le lacrime si sono presentate ben tre volte durante la visione e sono uscita dalla sala con lo stomaco contuso – e con un forte fastidio nei confronti del genere umano. Pertanto se siete alla ricerca di una critica imparziale a montaggio e narrazione siete nel posto sbagliato. Nei prossimi paragrafi troverete invece emozioni, sensazioni e alcuni motivi per cui credo che il nuovo lungometraggio del cineasta americano vada visto e faccia bene a scombussolarci tutti. E lo faccio a caldo perché già domani, lunedì 22 ottobre, sarà in sala come evento cinematografico sino a mercoledì 24.

La locandina del film Fahrenheit 11/9

Fahrenheit 9/11 era il documentario con cui un cittadino innamorato del suo Paese metteva sotto la lente di ingrandimento l’amministrazione di Mr. Bush Jr. e il suo agire nebuloso dopo la tragedia che ben ricordiamo. Il titolo di oggi, Fahrenheit 11/9, rievoca volutamente quel film giocando sul fatto che in data 9 novembre Trump sia stato eletto 45° presidente degli Stati Uniti. Ironica la vita, vero? A credere alla numerologia c’è da diventare superstiziosi…

L’odierno Fahrenheit è una ben ritmata raffica di calci nello stomaco che dura due lunghe ore. Niente carneficine a mo’ di horror e/o nessuna storia lacrimosa per far leva sul nostro senso di colpa. Ma 120 minuti durante i quali Moore prende di mira senza timore Democratici, Repubblicani e quanti si son resi rei di aver spianato il terreno ad un razzista e sessista, egocentrico e potenziale despota che di nome fa… Donald Trump!

La pellicola s’apre proprio con le battute finali della campagna elettorale del 2016 e col suo epilogo clamoroso. Scava nell’emergenza idrica della città di Flint in Michigan (poverissima e a maggioranza afro-americana). Dopo di che ci ricorda le proteste degli insegnanti del West Virgina, quelle “senza speranza” che sono riuscite a travolgere gli Stati dell’Unione. E non dimentica la lobby delle armi, mostrando le mobilitazioni degli studenti di Parkland, giovani sopravvissuti all’ennesima sparatoria in un liceo, decisi ad arginare i politici che si riempiono la bocca di false promesse. Hilary Clinton e Barack Obama compaiono poco, abbastanza però per uscirne a pezzi.

Michael Moore in Fahrenheit 11/9 – Photo: courtesy of Lucky Red

Gli argomenti cari al regista tornano puntuali, è vero, anche se qui si concentrano solo sugli ultimi due anni. È inutile andare indietro, ci sono sufficienti elementi da tramortire a dovere lo spettatore. Quello che emerge pian piano è, infatti, un quadro chiaro di come sia stato possibile un simile deragliamento. Un deragliamento che presenta inquietanti parallelismi con pagine di storia del Novecento. Quindi, quando l’ultimo giudice vivente del processo di Norimberga viene intervistato, le sue frasi chiare e semplici hanno il potere di rimbombare a lungo nella nostra mente rendendo l’epilogo del film ancor più affilato.

L’invito è solo uno: Agire, con la A maiuscola. E siccome non è difficile ravvedere punti in comune tra la situazione oltre oceano e quanto stia accadendo nel Vecchio Continente, ecco che la nausea prende il sopravvento. Come ha fatto l’essere umano a perdersi sino a questo punto e a dimenticare in così poco tempo i propri errori? Oppure si è davvero svenduto per qualche banconota e un miraggio di vita da reality?

Fahrenheit 11/9 ci provoca tanto dolore perché traccia un fil rouge tra i fatti con passione e perché ci dimostra quanto la democrazia di cui ci vantiamo spesso sia lontana o probabilmente sia stata solo un sogno

Vissia Menza

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