Recensione di Climax, il nuovo film di Gaspar Noé in anteprima italiana al Milano Film Festival 2018.

film climax poster

il poster del film Climax

Gaspar Noé è per il cinema estremo francese contemporaneo quello che erano gli Oasis per il movimento britpop: non il migliore esponente della scena, ma probabilmente quello più considerato dalle platee. E, di sicuro, il più bravo a “vendersi”.
Cita Irréversible (2002) o Love (2015, probabilmente l’apice della carriera di Noé) e gli hipster citeranno con te, vira su Grandrieux e parlerai da solo.

Il quinto film lungo di Noé, Climax, passa da Cannes (tornando a casa col premio CICAE) e impreziosisce il Milano Film Festival 2018, frastornando con i soliti titoli cubitali e controcorrente, suoni techno e una sinossi scarna e psicotropa che spiana la strada allo stile del regista.

Un capannone dismesso in cui variegati rappresentanti della gioventù francese ballano in vista di uno spettacolo di danza, trangugiando litri di sangria che qualcuno ha allungato con generose dosi di LSD.
Mentre le casse urlano note perfettamente in linea con la schizofrenica poetica Noeiana (tra gli altri, Aphex Twin, Daft Punk, Soft Cell e The Rolling Stones), la notte diventa un incubo fuori controllo, sfocato e allucinato.
una scena del film Climax - Copyright: COURAMIAUD – LAURENT LUFROY / FABIEN SARFATI

una scena del film Climax ©© COURAMIAUD – LAURENT LUFROY / FABIEN SARFATI

Fin dalla prima fase del “climax”, pazientemente verbosa, Noé fa il reo confesso con le sue ispirazioni che diventeranno citazioni ed impila una serie di vhs tra cui spiccano lo spunto psicodanzereccio (Suspiria di Argento), la liberazione o prigionia sessuale (Querelle di Fassbinder) e la scomposta trasfigurazione di mente e corpo (Zulawski – Possession).

E’ un’ammissione libera-tutti che anticipa il rapido tracollo della serata, bello il contrasto tra il calore e le passioni interne e la sferzante notte nevosa che circonda la location, e della lucidità dei protagonisti, sopraffatti da paure viscerali ma anche da inedite e sconosciute pulsioni.

Nel suo ultimo atto Climax e il suo autore ambiscono a trasmettere numerose sensazioni vivide: l’angoscia, la claustrofobia visiva e uditiva, la paura nei confronti della natura umana ma anche la sua plastica abilità di mantenersi salda, di proteggere e proteggersi. E le veicolano con l’abituale rotta bella e contorta, tanto creativa quanto narcisistica.

una scena del film Climax - Copyright: COURAMIAUD – LAURENT LUFROY / FABIEN SARFATI

una scena del film Climax ©© COURAMIAUD – LAURENT LUFROY / FABIEN SARFATI

E’ questo l’aggancio all’unico ma ingombrante PERO’.

Climax, che per inciso non estremizza nemmeno poi tanto le violenze e le derive abominevoli della jeunesse de France, manca nella comunicazione di un significato forte e accarezza distrattamente le questioni di cui sopra.

E fornisce un assist (il più comodo del suo curriculum) a chi sostiene che in Noé viva un altro Noé, più piccolo e sottomesso, ma alle volte assecondato, che ha più sete di pornografia che di cinema e di emozione.
Questo non è vero, ed è vergognosamente ingeneroso considerare l’esperto regista come un erotomane che deve in qualche modo giustificare ai genitori tutte le rette della scuola di cinema; Climax giustifica la spesa, ma allo stesso tempo ci restituisce qualche sequenza, nesso e argomentazione a forte rischio di gratuità spoetizzata.

Voto: 6,5/10

Luca Zanovello