Recensione del film Sulla mia pelle, con Alessandro Borghi nei panni di Stefano Cucchi. Dal 12 settembre su Netflix e in alcuni cinema.
Quando Barbera annunciò che Sulla mia pelle avrebbe aperto la sezione Orizzonti di Venezia 75 fu impossibile non provare un misto di stupore e trepidazione. Possibile che ci sia stato un regista così audace da fare un film su quella nerissima pagina di storia italiana che ha nome Stefano Cucchi? Possibile che ci sia un direttore artistico così audace da metterlo in apertura di una sezione del Festival? Ebbene sì. Gli interrogativi erano tanti. La paura anche. Il confine fra futuro cult o scult del cinema impegnato non era mai stato così labile.
Eppure, Alessio Cremonini si rivela al di sopra di ogni aspettativa. Catapultandoci in media res in quell’inferno che sono stati gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi, Cremonini riesce a farlo con una macchina da presa estremamente rispettosa e delicata. Non è questo un film partigiano. Non c’è spazio per la strumentalizzzione del dolore, per la banalizzazione o la tacita propaganda di valori anti-sistema. Non siamo di fronte a un film “di destra” o “di sinistra”. Siamo di fronte a un film che umilmente cerca di restituirci il tragico vissuto di un ragazzo che molti di noi han conosciuto solo attraverso l’eco di certi telegiornali. E lo fa mettendo in luce le debolezze di tutti: della polizia, della magistratura, della sanità, perfino dello stesso protagonista, interpretato da un eccezionale Alessandro Borghi.
«Nei sette giorni che vanno dall’arresto alla morte, Stefano Cucchi viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, hanno intuito il dramma che stava vivendo. È la potenza di queste cifre, il totale dei morti in carcere e quello del personale incontrato da Stefano durante la detenzione che mi ha spinto a raccontare la sua storia: sono numeri che fanno impressione, perché quei numeri sono persone».
Sulla mia pelle nasce allora dalla necessità di (ri)dare voce a questi numeri, di ricordare che dietro la straziante fotografia che tutti conosciamo c’era una persona reale, viva. Con i suoi slanci di coraggio e di insicurezza, Borghi è stata forse la scelta più felice per la parte. Come già disse Barbera, «l’interpretazione di Borghi è una di quelle a cui ci hanno abituato certi attori americani, capaci di calarsi completamente nel personaggio e di portare sulle proprie spalle tutto il significato e il peso di un film». Allora ecco la carrellata di premi collaterali, tra cui quello Pasinetti per il miglior attore. E la cosa non deve stupire: Borghi riesce davvero a ridare corpo (e voce – come si scopre dalla sorpresa dei titoli di coda!) a Stefano Cucchi con una profondità inimmaginabile.
Per 100 minuti egli ci insegna come il dolore fisico (e psicologico) possa trasformarsi in una paura cieca e irrazionale, d’ostacolo persino alla propria stessa sopravvivenza. Noi finiamo per vivere con lui questa paura e anche una grandissima rabbia. Per l’ingiustizia in sè, per la tragedia della sua famiglia, per l’incapacità di afferrare tutte le ancore di salvezza gettategli dai paramedici e da qualche secondino. Sulla mia pelle ci fa arrivare ai titoli di coda stanchi, sporchi, confusi, come i prigionieri delle celle di Regina Coeli dove il film è ambientato.
Puntando all’essenziale e sprezzando qualsiasi orpello retorico, Cremonini ha giocato una mano vincente e pregna di attualità. Alla fine non conta davvero che le interpretazioni degli altri attori (Max Tortora, Milvia Marigliano, Jasmine Trinca) non fossero poi tanto all’altezza. Conta solo il suo prezioso, onesto, potente cotributo alla scrittura di un capitolo, aperto dal 22 ottobre 2009, che ci auguriamo avviato verso la chiusura. Da oggi sia al cinema che su Netflix!
Alessandra Del Forno
n.d.r. Come da tradizione di MaSeDomani, potete leggere tutti i nostri articoli su Venezia 75 con un semplice clic qui
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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