DOWNRANGE: presi di mira

Recensione di Downrange, il thriller – horror di Ryûhei Kitamura in home video dal 9 Agosto 2018.

la cover del blu-ray del film Downrange

Sei ragazzi in viaggio su un’arida strada statale della middle America, una gomma a terra e uno sparo che spappola il lobo frontale di uno di loro.
Da dove arriva, da chi e soprattutto perché?
Alcune risposte arrivano nell’assedio del cecchino ai malcapitati, essenza della storia, altre Downrange se le tiene per sé.

Thriller eretto con pochi mezzi e ancor meno finanze, diretto dall’esperto regista giapponese Ryûhei Kitamura (era suo Prossima Fermata: L’Inferno, da un racconto di Clive Barker) e spedito direttamente in home video, Downrange rivela che le colline statunitensi hanno molti tipi di occhi, anche quelle di un maniaco che, senza movente apparente, gioca al tiro al bersaglio coi primi che passano.

I primi che passano sono sei attori cani, stereotipi o rappresentanti anonimi di minoranze, quelli che pensano ad Instagram nel mezzo del deserto e che quindi in men che non si dica ti portano a tifare per il cattivo di turno.
Ecco perché Downrange si arena un po’, anche se prova a tenersi stretto il suo target (onnivori del thriller – horror da seconda serata in tv) con del gore bello e generoso.

E poco importa che le irrefrenabili traiettorie dei proiettili sferzino l’aria sfidando le leggi della fisica e della balistica, riuscendo a raggiungere anche gli spiragli più improbabili per aumentare quella tensione da “gatto col topo” di cui il film giocoforza campa.
Kitamura sfrutta le sue doti registiche medio-alte per ruotare attorno all’auto dietro la quale i superstiti si barricano, filmare (da dio) una spettacolare scena di incidente, indugiare sulla poltiglia cerebrale delle vittime.

La questione è se abbiate o meno voglia di accontentarvi di quello e di qualche arguta lezione di sopravvivenza, in una storia che procede tanto (troppo) secondo copione e con molta pigrizia esplicativa.
Certo, forse con un po’ più di cura nella definizione dei personaggi – e lì i soldi non servono – ci sarebbe stato un po’ più di pathos, uno schieramento sentito, un po’ di empatia e campanilismo.
Invece si tifa solo e soltanto per il massacro.
Finale sadico.

Voto: 5,5/10

Luca Zanovello

 

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