La recensione del film Roma di Alfonso Cuarón, con l’esordiente Yalitza Aparicio, dal 10 ottobre su Netflix.
Secondo giorno di Festival. In sala è prevista la proiezione di un film che emana un delicatissimo profumo autobiografico e sembra richiamare alla memoria certo cinema d’altri tempi: Roma di Alfonso Cuarón. Si entra in sala con una grande curiosità, alte aspettative, e se ne esce avvolti da una sensazione indescrivibile. Un misto di stupore, forza e commozione. Che sia questo quello che si prova dopo la visione del Leone d’Oro del Festival di Venezia? A quanto pare sì! Dopo le incursioni fantastiche di Harry Potter e quelle fantascientifiche di Gravity, il ritorno a casa di Cuarón si è rivelato vincente.
Roma è un affresco vivo ed emozionale – lungo 135 minuti – dell’infanzia del regista a Città del Messico. Protagonista è Cleo (Yalitza Aparicio), l’umile e amorevole bambinaia ricostruita sulla figura realmente esistita di Limu, tata del regista. Cleo è una donna che, proprio come Sofia (Marina de Tavira), la madre della famiglia presso cui vive, è costretta a fare i conti con tristi e traumatici venti di vita. Primo fra tutti la perdita di un figlio. Anche Sofia deve fronteggiarsi con una perdita, quella di suo marito, un medico di successo partito verso altri lidi con la giovane amante. Le due donne, meravigliose protagoniste assolute di questo film tutto al femminile, riusciranno a tessere insieme una trama fatta di forza, coraggio, determinazione e tanto amore.
La cosa importante del film è il processo della memoria, del ricordo. Sono partito dalla memoria, dai ricordi, soprattuto dalle conversazioni. Quando cresci con qualcuno che ami non metti in discussione la sua identità, mentre qui si è cercato di vedere Cleo come una donna, con una serie di cose complesse: la classe più bassa, le origine indigene… Le donne sono state quelle che hanno portato avanti la mia casa, non gli uomini. La cosa fondamentale è stato scoprire questo personaggio come una donna.
Questa coppia di donne forti si muove sullo sfondo di una Città del Messico scossa dai tumulti e dai massacri. Proprio come la famiglia di Sofia, anche il paese in cui il film Roma è girato, il Messico, è infatti sconvolto da un difficle processo di transizione. Le tracce più dolorose di questo processo sono lasciate dal massacro del Corpus Christi (1971), un massacro perpetuato da un gruppo paramilitare finanziato dal governo, Los Halcones, a danno di circa 120 manifestanti. Cuarón torna nella sua terra natia per raccontare tutto questo da un punto di vista etremamente umano e personale. E lo fa con una bellisisma fotografia in bianco e nero, ricreata in digitale, che è «parte integrante del DNA del film».
Così come parte integrante lo sono il protagonismo di Cleo e la centralità della memoria autobiografica. Nessuna sceneggiatura sul set, solo ricordi di conversazioni, piccoli ritagli di vita passata e i profili dei perosnaggi che si definiscono poco a poco davanti alla macchina da presa. Come da prassi documentaria, non solo l’attrice principale Yalitza Aparicio non ha alcuna esperienza pregressa nel mondo della recitazione, ma anche la stessa genesi del film sembra rifarsi a un metodo artigianale. Cuarón veste infatti qui i panni, oltre che del regista, anche del produttore, del montatore e del direttore della fotografia. E lo fa con obiettività, oggettività, «senza giudicare», offrendo allo spettatore una seria di interrogativi che sta a noi decifrare.
Con un controllo quasi totale sulla resa espressiva della pellicola, Cuarón si è dimostrato un grande regista capace di creare un’opera originale e di estrema potenza poetica. Ripercorrendo il proprio passato (a livello anche materiale: il 70% del mobilio è quello originale della casa materna), si è dimostrato in grado di «parlare anche al presente», scegliendo Netflix come canale privilegiato di distribuzione. Appena qualche settimana e sarà disponibile sulla piattaforma streaming questo piccolo capolavoro di autobiografismo, simbolismo e genuina poeticità che bisogna assolutamente recuperare. Il 10 ottobre tutti su Netflix!
Alessandra Del Forno
n.d.r. Come da tradizione di MaSeDomani, potete leggere tutti i nostri articoli su Venezia 75 con un semplice clic qui
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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