La recensione di 22 July, il nuovo film di Paul Greengrass con Jonas Strand Gravli e Anders Danielsen Lie dal 10 ottobre su Netflix.
È passato appena qualche mese dalla presentazione a Berlino di U – 22 July, lo straziante piano sequenza di Erik Poppe sulla strage di Utøya in Norvegia, che già Paul Greengrass torna a Venezia per rinfrescarci la memoria. 22 July è la versione in termini di docu-fiction dello stesso soggetto: la terribile strage perpetuata sull’isola di Utøya e nel distretto governativo di Oslo da un estremista di destra il 22 luglio di sette anni fa. Già noto per le indagini condotte nel suo cinema-verité, Greengrass si concentra ora sugli sviluppi e le conseguenze di quella che, a detta del suo stesso esecutore, è stata definita «la più sensazionale strage in Europa dalla seconda guerra mondiale».
II film, basato sul libro One of Us: The Story of an Attack in Norway – and Its Aftermath di Åsne Seierstad, annovera fra le sue fila un cast tutto norvegese fra cui spicca l’esordiente e bravissimo Jonas Strand Gravli. Forse futuro premio Mastroianni, Gravli veste qui i panni del giovane Viljar Hanssen, uno dei ragazzi di Utøya sopravvissuti alla strage. Ma è uno dei pochi: 77 le vittime e più di 200 i feriti. Il film si basa proprio sul difficile e travagliato recupero che le vittime, le famiglie delle vittime, la stessa Democrazia dovranno affrontare all’indomani della tragedia.
In questo sofferto processo di doppia ricostruzione – reso non a caso con la tecnica del montaggio alternato – emerge però lui, l’attentatore. Anders Danielsen Lie è qui uno spietato ma lucidissimo Anders Breivik, presidente dei Cavalieri Templari e crociato contro i mali dell’immigrazione e del multiculturalismo. Nessun senso di colpa nel suo sguardo, nessun pentimento: solo uno smaliziato e fastidioso sorriso beffardo. E la consapevolezza di aver agito per il bene della stessa Europa. Affianco a lui la figura (apparentemente) ambigua dell’avvocato difensore, Geir Lippestad (Jon Øigarden), un buon padre di famiglia pronto a fare il proprio dovere anche a costo di risultare politically incorrect. E peggio: di offrirsi spontaneamente alla ghigliottina sociale.
Il delicato rapporto fra le parti (la politica, le famiglie, la magistratura) è il pilastro su cui si regge l’intero film, meritevole tanto di contenere gli eccessi drammatici quanto di restituire con onestà e trasparenza le vicende. Pur con un facile schematismo di fondo, Greengrass ha il merito di aver riproposto un film sicuramente più fruibile del (quasi omonimo) precedente ed ancora estremamente attuale. È un film che, come il regista stesso ha affermato in sede di conferenza stampa, si pone l’obiettivo di far riflettere. Cosa fa di un uomo comune un assassino? Fin dove può spingersi la violenza dell’estrema destra populista? E se quello che è successo in Norvegia ci avesse aperto gli occhi su quello che stava succedendo in Europa?
C’era una responsabilità essenziale nel fare un film come questo, ossia consultare le persone direttamente coinvolte. In questo caso, incontrare gli individui raffigurati nel film e il Gruppo di Supporto Famigliare 22 Luglio. […] Quindi, per me, la consultazione di persone come Viljar Hanssen e il Gruppo di Supporto Famigliare rese chiaro che molti sentivano la necessità di narrare quanto successo, per allertare contro la continua crescita della violenza di destra. […] Da regista puoi solo impegnarti a far del tuo meglio affinchè la storia sia raccontata nel modo più rispettoso possibile, con animo onesto. E sperare che sia accolta con lo stesso spirito con cui è stata concepita.
Greengrass, con una maturità e un’audacia registica non da molti, prende su di sè la responabilità di questi interrigativi e riesce a ricreare un’opera estremamente onesta e rispettosa. Un dramma che non cavalca l’onda della violenza. Un’opera impegnata che non scade nel tacito propagandismo. In una parola: un’opera necessaria. Per chi non avesse mai sentito parlare di Utøya, dal 10 ottobre su Netflix!
Alessandra del Forno
n.d.r. Come da tradizione di MaSeDomani, potete leggere tutti i nostri articoli su Venezia 75 con un semplice clic qui
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.
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