Recensione di First Man, il film di Damien Chazelle con Ryan Gosling in apertura al 75° Film Festival di Venezia.
Aspettative troppo alte? Un po’ di disorientamento dopo i successi a sfondo jazz di Whiplash e Lalaland? Difficile dire cosa non abbia completamente convinto del nuovo film di Damien Chazelle, eppure l’applausometro veneziano non raggiunge il livello che spetterebbe a un film d’apertura. Ciò però non toglie il fatto che il prodotto confezionato sia estremamente valido e, soprattutto, che la rinnovata collaborazione fra Damien Chazelle e Ryan Gosling abbia dato i suoi frutti.
Uno dei grandi piaceri di lavorare con Ryan è stato scoprire come accedere a ciò che stava sentendo Neil durante ogni passo del suo viaggio, e come porre il pubblico nel punto di vista di una persona che, nonostante quanto conosciamo, è un po’ un mistero per noi. Il compito era fare in modo che noi comprendessimo lui, ma preservandone comunque l’enigma. Gosling possiede questo fascino: ti lascia entrare ma ha anche una qualità da star della vecchia Hollywood, tipo Gary Cooper, cioè mantenere un alone di mistero.
L’ex jazzista di Lalaland veste ora i panni dell’astronauta Neil Armstrong per un’arco temporale di circa 7 anni, quelli compresi fra la sua entrata nel progetto Gemini della Nasa e il suo storico decollo a bordo dell’Apollo 13 per la Luna. Un percorso umano e professionale ricchissimo, della durata di ben 135 minuti. Minuti che però Chazelle sa gestire benissimo, restituendoci tanto l’odissea spaziale dell’astronauta quanto la sua odissea più umana e personale, squassata dai lutti. Su binari paralleli – e talvolta intersecabili – corrono sia i traumi del nostro protagonista sia tutti i passi di quella che, in piena guerra fredda, potrebbe tranquillamente definirsi come una vera e propria “corsa all’allunaggio”. Per ogni centimetro di spazio interstellare conquistato dai sovietici, ecco che alla Nasa tocca fare di meglio, fare di più. E il prezzo da pagare per questo non si misura solo in termini di investimenti statali: si misura anche e soprattutto in termini di vite umane.
Chazelle è in grado di restituirci tutto questo con delicatezza, calore e coinvolgimento, seppur in modalità molto diverse da quelle a cui ci aveva abituato – e con almeno due sequenze che sembrano rifarsi alla fascinazione di certo cinema interstellare, primo fra tutti quello di Kubrick. Rimanendo però fedele alla propria originalità espressiva, First Man si presenta come un film intelligente, in perfetto equilibrio tra sequenze più claustrofobiche e dolci momenti di intimità domestica. È un film da recuperare senz’altro alla sua prossima uscita nelle sale. Una solida documentazione, una vivace attenzione al contorno storico, ai personaggi secondari (un plauso a Claire Foy) e al montaggio sonoro fanno di quest’opera un prodotto molto maturo e sofisticato da non lasciarsi in alcun modo sfuggire! Dal 31 ottobre nelle sale.
Alessandra Del Forno
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Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.