Recensione di Most beautiful Island, il film di Ana Asensio al cinema dal 16 agosto 2018. 

la locandina italiana del film Most beautiful Island

la locandina italiana del film Most beautiful Island

Luciana è una donna dal passato oscuro che ha lasciato il suo Paese per sbarcare a New York. Senza documenti, vive alla giornata, sostentandosi attraverso lavori non duraturi e mal pagati.
Una conoscente la convince a partecipare ad un “party” per una cifra davvero allettante. Quando si presenta sul posto, per Luciana inizia un incubo che sembra infinito.

Ana Asensio con Most beautiful Island si cimenta per la prima volta nella sceneggiatura, nella direzione e, in parte nella produzione, di questo lungometraggio davvero particolare, di cui è anche protagonista.

Da subito dimostra una cultura cinematografica non indifferente. L’iniziale taglio quasi documentaristico, con la macchina da presa che si muove agile e leggera tra la folla che attraversa le strade della Grande Mela, rimanda ad un cinema anni ’70 underground ed indipendente. Il frequente uso del sonoro fuori campo è un ottimo escamotage per focalizzare l’attenzione su quanto la donna sia “estranea” alla vita che le scorre intorno.

un’immagine del film Most beautiful Island - Photo: courtesy of Exit Media

un’immagine del film Most beautiful Island – Photo: courtesy of Exit Media

Il tono intimistico/drammatico dell’incipit, è sottolineato dal fatto che Luciana non viene mai abbandonata dalla camera. Un “pedinamento” vero e proprio che però non ci rivela molto di più della personalità della protagonista. Non può esserci crescita, non può esserci analisi psicologica. Il film si sviluppa infatti in sole ventiquattro ore. Una giornata tipo della donna, che inizia come tutte le altre e si conclude in maniera straordinaria.

Il registro drammatico di inizio pellicola lascia presto il passo a quello del thriller.

Appena la protagonista varca la soglia del luogo dove dovrebbe tenersi la sedicente festa, l’atmosfera si fa cupa, claustrofobica, in un crescendo di attanagliante angoscia. La macchina da presa si fa più lenta, rimbalza da un primo piano all’altro indugiando sugli occhi pieni di terrore di Luciana.

In questo strano luogo, sorta di seminterrato o garage, c’è una stanza da cui non si sa se si uscirà vivi. La protagonista è con altre donne. Belle e nervose come lei.

un’immagine del film Most beautiful Island - Photo: courtesy of Exit Media

un’immagine del film Most beautiful Island – Photo: courtesy of Exit Media

In un modo davvero originale l’Asensio lancia una vera e propria critica socio-politica ai nostri tempi. Ci mostra la difficile situazione degli immigrati, soprattutto se irregolari, e di chiunque, dal nulla, voglia sbarcare il lunario in un Paese in cui non è nessuno. Dove la differenza tra ricchi e poveri è netta. Dove i primi si trasformano in aguzzini per noia ed i secondi in vittime per necessità. Dove chi non ha nulla da perdere mette in discussione persino i suoi diritti di essere umano.

Immigrati, poveri, deboli… Come le blatte che escono dalla parete del bagno di Luciana. In molte muoiono affogate nella vasca. In poche si salvano.

Nasce qui il ricatto psicologico tra regista e pubblico, costretto ad un sottile gioco mentale. Nella lunga attesa che precede l’ingresso della donna nella stanza misteriosa, lo spettatore si chiede, inevitabilmente, cosa possa accadervi all’interno. Per rispondersi deve attingere ad un immaginario di violenza che va dall’abuso sessuale alla tortura. Un insieme di atti e situazioni abietti e spregevoli che fanno ormai parte del nostro sentire comune; che, ascoltandoli alla radio, al notiziario o leggendoli sul giornale, difficilmente ci sconvolgono perché siamo assuefatti ad un mondo di soprusi e sopraffazioni.

un’immagine del film Most beautiful Island - Photo: courtesy of Exit Media

un’immagine del film Most beautiful Island – Photo: courtesy of Exit Media

La regista ci mette difronte alla più grande debolezza dei nostri tempi: la desensibilizzazione alle tragedie e alle amenità della società odierna.

Il film si conclude con un’inquadratura in cui svetta un cartellone pubblicitario che recita “Big Apple, Big Dream”. C’è allora da chiedersi: possiamo ancora credere al sogno americano? Probabilmente sì. Non sappiamo se Luciana ce la farà, ma Ana Asensio è la dimostrazione che il talento, unito all’impegno e al duro lavoro, ripaga.

Most Beautiful Island è un progetto ambizioso e coraggioso. A partire dalla decisione di girarlo in 16 mm.
E anche se la regia, col suo repentino cambio di stile tra incipit e conclusione, non convince a pieno, perché non sempre coerente e matura; anche se lascia una strana sensazione di irrisolto, dovuta ad un inevitabile finale sospeso, rimane l’idea che l’Asensio abbia tutte le carte in regola per stupirci in futuro. 

Violetta Biagiotti