Recensione della mini-serie CoinCoin Et Les Z’Inhumains diretta da Bruno Dumont, in anteprima al Locarno Festival 2018.

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains – Photo: courtesy of Locarno Festival

Ci voleva Bruno Dumont per sdoganare il formato “seriale” in uno dei festival e vetrine più importanti del cinema mondiale.
Con CoinCoin Et Les Z’Inhumains il regista francese invade Locarno e regala una miniserie di 4 episodi che è un piccolo capolavoro, seguito o se preferite seconda stagione di P’tit Quinquin (2013), stessi attori (rigorosamente non professionisti), personaggi e formato.

Dumont gioca disinvolto e divertito con la commedia e con la farsa, gli fa piombare addosso la variabile impazzita della fantascienza di serie B, una bizzarra incursione aliena nel solito paesino della Francia settentrionale che si manifesta nella caduta dal cielo di veri e propri gavettoni di melma oscura e puzzolente.

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains – Photo: courtesy of Locarno Festival

A mettere una toppa all’Apocalisse ci penseranno (si fa per dire) gli assurdi protagonisti, dall’ormai adolescente CoinCoin (storpio nei connotati e storpiato nel nome di stagione in stagione) all’irresistibile pattuglia della Gendarmerie che omaggia e nel contempo “profana” i Fratelli Marx e l’ispettore Clouseau.
Sullo sfondo, la campagna nord-francese gretta e miserabile, tragicamente microcomunitaria, tanto cara e già vista nei capolavori più ruvidi di Dumont; il quale tra invasioni aliene, umani alienati e migranti passeggeri, cerca di capire e farci capire in quanti modi l’umanità può mettersi a repentaglio.

Le quattro parti di CoinCoin Et Les Z’Inhumains sono una scorribanda grottesca ed esilarante sul filo della fine del mondo, più film lungo che serie tv, più consigliata da tracannare in un sorso che a tappe; è così che ci si gode meglio il flusso di presunto nonsense, i tic, le manie e le falle mentali di tutti quei freaks umani che affollano lo schermo.

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine dal film CoinCoin Et Les Z’Inhumains – Photo: courtesy of Locarno Festival

Pur declinato in modo divertente (l’omaggio principale è a L’Invasione Degli Ultracorpi di Don Siegel), il fattore sci-fi è un espediente narrativo, che serve a Dumont per sottolineare ancora una volta le infinite derive della nostra specie e mostrare il quanto mai labile confine tra l’inspiegabile e l’umano.
Nei loop mentali e dialogici dei duecento minuti di CoinCoin si nascondono le manie e i cortocircuiti della famosa Humanité, che diventa una tragicomica e assurda parata; che si incarna nelle figure mascherate sullo sfondo, silenziose, inquietanti ed apparentemente casuali, così fuori contesto da rappresentare l’essenza della vita scriteriata e non direzionata dei “civili”.

E se poi in questo percorso riflessivo vengono gli addominali dal ridere, come in questo caso, tanto meglio. Ma guai a considerare quello di CoinCoin un messaggio “light”, o peggio un prodotto televisivo in senso detrattivo: dalla ratio alla confezione CoinCoin, complice la fotografia meravigliosa di Guillaume Deffontaines (già al fianco del regista per Ma Loute), è di impeccabile precisione.
Ancora una volta Dumont, tra le righe, parla impietosamente di noi.

Voto: 8/10

Luca Zanovello

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