Recensione di Likemeback il film di Leonardo Guerra Seràgnoli in anteprima al Locarno Festival 2018. 

un’immagine del film Likemeback - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine del film Likemeback – Photo: courtesy of Locarno Festival

Carlo Chatrian in conferenza stampa ci aveva preallertato di tenere sotto controllo la sezione Cineasti del Presente, quella che offre ampio spazio ai talenti emergenti. Quest’anno ci avrebbe sorpreso, diceva. Non era uno scherzo. Qualche giorno fa abbiamo dedicato spazio a Sophia Antipolis, oggi è il turno di Likemeback, un progetto che batte, tra l’altro, bandiera Tricolore e che ha le carte in regola per farsi notare.

Il titolo Likemeback, vi raccomando scritto tutto attaccato, dovrebbe subito allertarvi sul campo da gioco: i social media. Quelle comunità in cui siamo tutti pieni di “amici” e in cui nostro status di vincenti (o perdenti) nella vita – reale – è determinato dal numero di “follower” virtuali. Una volta si sarebbe detto dalla quantità di guardoni, in alcuni casi anche di persecutori, nelle migliori delle ipotesi li avremmo etichettati come invadenti ora, invece, sono diventati preziosissimi “seguaci”.

un’immagine del film Likemeback - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine del film Likemeback – Photo: courtesy of Locarno Festival

Il risultato è che orde di giovanissimi stanno crescendo condividendo nel cyberspazio ogni momento della propria vita. Un gesto che irrimediabilmente influenza le loro interazioni “dal vivo”, ossia i rapporti con i compagni di classe, gli amici, i fidanzati in carne e ossa. Il concetto di privacy, di conoscenza dell’altro grazie alla frequentazione, sta progressivamente ridefinendosi e noi che siamo nati sprovvisti di microchip sottopelle non possiamo far altro che osservare, imparare e adeguarci il minimo necessario per non scivolare ai margini della società prima ancora di esserci goduti appieno il viaggio.

Quello che ci propone Leonardo Guerra Seràgnoli è un tuffo nella vita di tre amiche del cuore, in vacanza insieme durante la memorabile estate che segna il passaggio dal liceo all’università. Sono su una barca, in Croazia. Con loro c’è solo lo skipper e, ovviamente, i fidati smartphone con cui pubblicare le proprie stories.

Allora ecco che vediamo una poverina in mondovisione mentre soffre il mal di mare e innumerevoli linguacce, tette strizzate e ammiccamenti vomitati in rete per un’approvazione senza la quale pare si sia destinati all’infelicità eterna.

un’immagine del film Likemeback - Photo: courtesy of Locarno Festival

un’immagine del film Likemeback – Photo: courtesy of Locarno Festival

La domanda a questo punto sorge spontanea: dov’è finito il limite invalicabile tra lecito ed eccessivo e quando si può tornare a parlare di “privato”? Le tre ragazze lo scopriranno da sole – e noi con loro. Complici una gara tra ego famelici di accettazione, un incidente che metterà una delle fanciulle a bordo campo, e la convivenza in uno spazio cosi ristretto come quello di una barca, il danno sarà presto fatto. E davanti alle reazioni delle protagoniste al proprio agire sfrontato e leggero, “al passo coi tempi”, sarà difficile rimanere impassibili. L’istinto sarà di pretendere un epilogo degno di una lezione esemplare.

Likemeback, nel bene o nel male, a Locarno è sulla bocca di tutti.

Dal mio punto di vista, seppur insoddisfatta di alcune scelte, la pellicola ha centrato l’obiettivo: chiunque abbia superato l’adolescenza ha l’urgenza di dire la propria. Perché si sente tagliato fuori; perché è terrorizzato di avere figli che cresceranno così davanti ai suoi occhi impotenti; oppure perché crede (o confida) che tale estremizzazione delle relazioni sia destinata a deflagrare rimettendo “le cose a posto”. I motivi sono i più disparati.

Sta di fatto che Leonardo Guerra Seràgnoli dimostra di sapere come portarci a bordo e in quale porto farci approdare.

Con una narrazione non frenetica, ma mai casuale; una chiusura spiazzante, seppur benevola; e, soprattutto, con tre attrici (Denise Tantucci, Angela Fontana e Blu Yoshimi) che si mangiano il film (il cast è l’arma vincente), il regista ci trasforma nella quarta amica, ci rende parte del gioco, solletica la nostra paranoia e alla fine ci fa capire che l’ultima parola questa volta non sarà la nostra.

Vissia Menza

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