La recensione di First Reformed, il film di Paul Schrader con protagonista Ethan Hawke in anteprima al Locarno Festival 2018.

Ethan Hawke in una scena del film First Reformed - Photo: courtesy of Locarno Festival

Ethan Hawke in una scena del film First Reformed – Photo: courtesy of Locarno Festival

Strano percorso, quello dello sceneggiatore e regista Paul Schrader, noto perlopiù (almeno fuori dalle nicchie) per avere scritto i due successi di Martin Scorsese Taxi Driver (1976) e Toro Scatenato (1980) ma con la bellezza di ventitré regie alle spalle.

Ventitré tappe qualitativamente ondivaghe, capaci di passare da meravigliosi e taglienti capolavori come il torbido thriller Hardcore (1979) o il maestoso biopic Mishima: Una Vita In Quattro Capitoli (1985) a progetti disgraziati come quasi tutta la produzione schraderiana del nuovo millennio.
Quel quasi rimanda all’asterisco di Cane Mangia Cane, penultimo lavoro dell’autore del Michigan, rivitalizzata scorribanda post-pulp divertente e sopra le righe, che pur senza trovate iperboliche aveva fatto presagire (e sperare in) una nuova primavera.

Ethan Hawke e Amanda Seyfried in una scena del film First Reformed - Photo: courtesy of Locarno Festival

Ethan Hawke e Amanda Seyfried in una scena del film First Reformed – Photo: courtesy of Locarno Festival

La conferma arriva, maiuscola e tonante, da First Reformed, film in concorso a Cannes 2017 che Schrader scrive e dirige con la quadra, il cinismo e la lucida disperazione dei tempi d’oro.

E’ il racconto luttuoso del reverendo Ernst Toller (Ethan Hawke), un figlio perso in Iraq e un matrimonio perso nel dolore, e della giovane coppia che assiste quando lui, attivista ambientalista, rivela segni di squilibrio e lei (Amanda Seyfried) cerca di salvarlo.
Sullo sfondo, ma non troppo, la chiesa quasi dismessa del prete, chiamata First Reformed, che un po’ come i protagonisti cerca nuove ragioni di essere. E la minaccia che la crisi di coscienza, la mente disturbata e l’eterna sofferenza non siano solo dietro l’angolo ma anche in un certo modo tremendamente contagiose.

una scena del film First Reformed - Photo: courtesy of Locarno Festival

una scena del film First Reformed – Photo: courtesy of Locarno Festival

Frettolosamente e comodamente definito l’evoluzione “naturale” di Taxi Driver, First Reformed ricorda in realtà più i tormenti socio-esistenziali di Affliction, sottovalutato gioiellino di Schrader.

Anche qui siamo alle prese con un film intimo, spoglio, in un certo senso minimalista nei fatti, ma che instilla un inesorabile senso di tragedia incombente, di fragilità umana e di una vita che somiglia a una trappola per topi.
Un quadro oscuro che diventa ulteriormente soffocante se si pensa alla deriva della componente religiosa, fulgida in partenza della storia e drammaticamente tumefatta all’arrivo.

Con la morale sospesa ma chiare cicatrici, la penna di Schrader è sorprendentemente rinfrescata, amareggiata e non teme le tenebre che esplora. First Reformed è come un abito vedovile: elegante, doloroso e simbolico. I “modelli” che lo indossano fanno faville, soprattutto il centro di gravità del film Hawke, coadiuvato dalla sua duttilità e da qualche accenno di ruga.

Ethan Hawke in una scena del film First Reformed - Photo: courtesy of Locarno Festival

Ethan Hawke in una scena del film First Reformed – Photo: courtesy of Locarno Festival

In quello che è uno dei drammi più profondi, dilaganti (e convincenti) delle ultime stagioni, Schrader trova anche il coraggio e il bilanciamento per inserire un efficace indizio sulla questione e gli allarmi ecologici. Ma ancora una volta, forte di una forma smagliante, evita retorica o ingombri, mimetizzandolo tra le frasche di una deriva tendenzialmente psicotica.

Per la serie… se pensi che un film o la storia di una (presunta) vita retta possano guidarti, salvarti o rassicurarti hai sbagliato: siamo qui per mostrarti quanto sia facile imboccare contromano la strada della rovina.

Voto 8,5/10

Luca Zanovello

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