La recensione di Menocchio, il nuovo film di Alberto Fasulo in Concorso al Locarno Festival 2018. 

Marcello Martini in una scena del film Menocchio - Photo: courtesy of Locarno Festival

Marcello Martini in una scena del film Menocchio – Photo: courtesy of Locarno Festival

Domenico Scandella, detto Menocchio, è un mugnaio. Vive con la famiglia a Montereale. La sua è una quotidianità fatta di lavoro e fatica anche se ha la fortuna di saper leggere e far di conto. È abituato a pensare e scrutare la natura che lo circonda. Questo suo osservare e riflettere gli permette di avere un’opinione chiara e  precisa, talvolta distante dalle favole confezionate ad uso e consumo del popolo. È un uomo concreto e razionale, il che non significa non veda la bellezza del creato, e rinneghi il passaggio di una mano divina sulle cose, al contrario. Ma ha la colpa di avere uno spirito critico, di essere una persona umile e, soprattutto, di vivere nel secolo sbagliato.

Sebbene sia facile credere questa sia una storia di oggi, illusione peraltro condivisibile, in realtà siamo nel Friuli di fine Cinquecento. Un periodo delicato, in cui si sta affermando il potere centrale della Chiesa e gli inquisitori vanno a caccia di eretici, condannando chiunque metta in dubbio la posizione di Roma. Menocchio è una preda troppo facile e finisce agli arresti. Viene torturato nella vana ricerca di un colpevole, nella convinzione che un villano non abbia gli strumenti per sviluppare un pensiero tanto strutturato. Finisce a processo e la condanna per eresia è inevitabile. Ma un improvviso risvolto gli risparmia il rogo, per lo meno per ora.

una scena del film Menocchio - Photo: courtesy of Locarno Festival

una scena del film Menocchio – Photo: courtesy of Locarno Festival

Di primo acchito potrebbe sembrare la trama di un bel legal drama in costume, nato dalla penna di un abile romanziere, invece l’abile lavoro è stato quello del gruppo che ha studiato le fonti e adattato al linguaggio cinematografico fatti realmente accaduti e documentati. Esatto, nessun errore, con un paio di clic su Google potete perdervi negli stralci di atti processuali, in saggi e commenti sul Menocchio, un signore nato a Montereale Valcellina nel 1532 e morto a Pordenone nel 1600 (poteva essere il 1601 ma poco cambia) per non aver rinnegato il suo pensare libero.  

Il quarto lungometraggio di Alberto Fasulo (vincitore al Festival di Roma 2013 con TIR) ci porta nella sua regione alla scoperta di una storia locale carica di valori che vanno ben oltre i confini territoriali. Sono valori che mai come oggi è bene spolverare, in questa società individualista, che sforna idoli effimeri e tramuta frasi preconfezionate in verità rivelate. La vicenda di Menocchio diventa un escamotage per parlare di ribellione (nei confronti dei poteri forti), di sincerità (verso le nostre idee, troppo spesso sacrificate per accondiscendere gli altri) e di coerenza (tra pensieri e azioni).

una scena del film Menocchio - Photo: courtesy of Locarno Festival

una scena del film Menocchio – Photo: courtesy of Locarno Festival

Menocchio è un film che ti assorbe e porta in un luogo sospeso nel tempo, in cui gli abiti d’epoca indossati dal cast si dimenticano in un soffio. Sono le parole scelte con cura, i volti solcati dalle rughe e gli sguardi illuminati dalle torce a catturare la nostra attenzione. Fasulo ci tiene sulla corda coi suoi magnifici primi piani, la fotografia curatissima e con dialoghi scevri da lezioni o ricatti morali. Non filosofeggia, tantomeno trasforma il protagonista in un eroe (o un demone). Con naturalezza ci narra di tempi bui e quando si riaccendono le luci ci lascia con l’amaro in bocca: il nostro mondo è altrettanto nero, ha il colore della pece. E questa non è finzione.

Vissia Menza

Ndr. Un clic qui per scoprire tutti i nostri articoli dedicati a Locarno 2018.