La recensione del film Le ultime 24 ore (24 hours to live), l’action-thriller con Ethan Hawke, Rutger Hauer e Paul Anderson al cinema dal 25 luglio.
Travis Conrad è un killer non più operativo che ha perso la famiglia e ora trascorre le giornate in compagnia del suocero, affogando i neuroni nell’alcool. Il suo prepensionamento è però destinato a finire presto: il pericolo si sta avvicinando.
Il pericolo per Travis sono gli ex-colleghi che, paventando un’offerta “irrifiutabile”, lo trascineranno in una caccia all’uomo da Hong Kong al Sud Africa. Finirà esanime su un lettino di ospedale da cui si rialzerà con un timer sull’avambraccio che segna l’inesorabile conto alla rovescia verso l’inferno. Perché le ultime 24 ore di vita di quest’uomo saranno all’insegna della resa dei conti e noi rimarremo al suo fianco.
Le ultime 24 ore è l’inatteso action con protagonista Ethan Hawke, colui che ci ha abituato a meravigliose interpretazioni in film indie (è l’attore-feticcio di Linklater) e che, senza paura, si è cimentato con un genere come l’horror, rendendolo memorabile (due gli eventuali recuperi: Sinister e The Purge). Stupirci nel vederlo indossare panni insoliti, come possono essere quelli di uno spietato sicario, è quindi una perdita di tempo, sperare in una sopresa è invece un obbligo.
Fughiamo subito ogni dubbio, non siamo difronte a Jason Bourne, tantomeno a John Wick. Durante la prima mezzora Hawke in giacca di pelle che fa a cazzotti, sniffa (?) e impugna pistole giganti, da cui esce una raffica infinita di proiettili, ci disorienta. Non è il cinema a cui ci ha abituati e bastano poche scene per capire di essere inciampati su un cosiddetto B-movie che regala brividi, non per forza quelli che rendono le pellicole di serie B opere di culto.
Il primo fremito è, appunto, provocato dal protagonista che sfoggia con disinvoltura tecniche di scontro alla Mortal Kombat, malgrado un phisique (du role) lontano dall’essere testosteronico e un’espressione che stride col genere pallottole-a-pioggia.
Il secondo fremito ci arriva dalla sceneggiatura. La trama imbocca un sentiero battuto, senza aggiungere nulla a quanto già visto e amato nelle ultime decadi (lontani sono i tempi di Die Hard e di Pulp Fiction). I dialoghi sono poco impegnativi anche se, a onor del vero, mai disturbanti. Le situazioni son prevedibili e lo spessore dei personaggi è ridotto all’osso, in alcuni casi inesistente, il che è un peccato.
L’ultimo fremito ci è dato dal veder sfumare minuto dopo minuto la chance, offerta dalla presenza di Hawke, di trasformare tutto in un noir nero come la pece, di quelli imbevuti di sofferenza e nessuna speranza, a favore di un intrattenimento dimenticabile e – ahinoi – che ci rammenta troppi altri titoli.
Il tocco “originale” pare, infatti, voler essere il gingillo tecnologico che finisce sotto la pelle del nostro eroe. Malauguratamente, ci ricorda Crank – la pellicola, regina incontrastata degli eccessi, che però affidava a Jason Statham le redini di cotanta azione esasperata – ma non ne sposa ritmo e follia. Tantomeno osa un balzo nel fanta-thriller, forse per assenza di fondi, di idee o chi lo sa.
L’opera diretta dall’ex stuntman Brian Smrz ha tuttavia qualche pregio. Offre corse e ricorse girate con cura e sa mantenere vive sino alla fine attenzione e speranza che il film assuma una personalità a sostegno del suo ottimo primo attore. Cosa che non avviene ma ce ne accorgiamo a giochi fatti. L’ausilio di una bella ciotola di popcorn e la voglia di non pensare per un paio di ore, potrebbero favorire un giudizio più benevolo del mio. Il passaggio su piccolo schermo poi potrebbe aprire la porta ad una eco che la sala, l’ultima settimana di luglio, potrebbe negargli.
Adatto a chi ama l’action (e Hawke) in modo incondizionato, in tal caso non rimarrà deluso. Un applauso a chi ha montato il trailer, il motivo? Lo scoprirete solo andando al cinema questo weekend!
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”