HOSTILE: un dolore (post) apocalittico

La recensione in anteprima di Hostile, il film horror diretto da Mathieu Turi al cinema dal 26 luglio 2018.

La locandina del film Hostile

Nello scenario desertico dell’estate horror duemiladiciotto si affaccia al cinema l’altrettanto desertico – per scenari – Hostile, prima regia del francese Mathieu Turi; un giovane prodigio, nato a Cannes (quando è destino…) trentuno anni fa ma già con un curriculum da “assistant director” da far spavento, che include tra gli altri Bastardi Senza Gloria, Magic In The Moonlight e Lucy.
Mi colpiscono tre cose: il nome di Xavier Gens (Frontiers) alla voce produttore esecutivo, una copertina che rimanda all’âge d’or dell’horror europeo di metà anni zero ed una trama che sembra avventurarsi in un ibrido, delicatissimo romantico orrore.

E in effetti, se l’apertura di Hostile affresca un mondo raso al suolo da una misteriosa apocalisse e la lotta per la sopravvivenza dei pochi superstiti in un arido scenario sabbioso (dove per giunta si annidano morti affamati di vivi), veniamo presto trascinati in un montaggio ping pong; che, con buona penna, fa la spola tra presente e passato, per raccontare non tanto il crollo dell’umanità quanto quello intimo e personale della protagonista Juliette (Brittany Ashworth).
Dalla vita da eroinomane, passando per una tormentata storia d’amore con l’artista Jack (Grégory Fitoussi), fino a ritrovarsi, sola e gravemente ferita, bloccata nottetempo nel deserto ed assediata da una creatura deforme.

Brittany Ashworth in una scena del film Hostile – Photo courtesy of Twelve Entertainment

Un eterno dolore insomma, che persiste nella condizione pre e post azzeramento, e che ci accompagna in un racconto fatto con pochi mattoncini, ma quasi tutti al posto giusto.
La lunga notte di Juliette, incastrata nell’abitacolo della sua jeep, è un gioco di sopravvivenza tra preda e predatore che Turi conduce con scrupolo sorprendente e qualche sorpresa nel cilindro.

Sia chiaro, di spettacolare c’è poco e il budget lillipuziano spinge poco la lente negli scenari e soprattutto nelle cause di un mondo tornato (più) feroce e primitivo, ma anche nella sua forma minimalista e circoscritta la vicenda paurosa funziona.
Così come il suo accostamento al flashback di romantico dualismo dei protagonisti: anzi, questa è la vera scommessa vinta, la miscela non pretestuosa dell’horror con un “prima” civilizzato, ma non per questo meno insidioso.
Il cerchio si chiude in un atto di sensibile sadismo che è solo apparentemente ossimoro, facendo di Hostile forse non un film da rivedere, ma un tentativo perlopiù originale, curato nei dettagli e macabro il giusto, di ibridare e contaminare il genere.

Bene anche le orecchie (suoni e rumori tesi) e l’occhio (il contorto mostro è supportato da pregevole CGI).
Con Deserto Rosso Sangue, uscito in home video il mese scorso, il 2018 diventa di diritto l’anno dell’horror post atomico, solo e torrido, curiosamente romantico.

Voto: 7/10

Luca Zanovello

 

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