Recensione del romanzo Non dite alla mamma che faccio la segretaria di Debora Attanasio, tra le letture consigliate di questa estate 2018. 

La tendenza culturale odierna, dal cinema alla televisione, non riesce più a frenare la sua nostalgica discesa dentro le idee, il mood e i miti di un ventennio – gli anni’80 e ’90 – tra i periodi storici più caotici, creativi, complessi, esagerati e pieni di chimico, incrollabile ottimismo. La biografia di Debora Attanasio Non dite alla mamma che faccio la segretaria (Sperling & Kupfer, 2013) non è solo una scoppiettante e puntuale fotografia di carta e inchiostro di un’Italia nel pieno del suo ignaro benessere ma, attraverso l’insolito e variegato universo di un gruppo di stelle del cinema Hardcore nostrano, capitanato dalla vulcanica personalità imprenditoriale di Riccardo Schicchi, è un’originale chiave di lettura che mostra, meglio di molti trattati sociologici, ciò che eravamo e ciò che siamo diventati.

la copertina del libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria

la copertina del libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria

Costretta da un mutuo capestro e un’indole curiosa ad accettare il lavoro di assistente nell’agenzia delle pornostar Diva Futura, l’autrice rivive, con prosa agile, allegra, che non cede mai a un linguaggio crudo ed eccessi anatomici, i suoi 9 anni di professionalità e molta allegria a fianco del pioniere delle luci rosse Made in Italy, sempre pronto a sfornare idee, a far innamorare le attrici e a far notizia, tra vero istinto progressista e anima di scaltro uomo di marketing.

Un dettagliato diario di avventure paradossali, casting maschili con probabili killer reclutati in Autogrill, di conversazioni sulla fine del mondo con i testimoni di Geova, le crisi d’amore delle attrici detestate dalle mogli e, allo stesso tempo, idolatrate dai loro mariti, corteggiate da critici d’arte polemici e stimabili presentatori televisivi per famiglie.

Così, accanto a nomi d’arte kitsch come Vampirella, Miss Pomodoro, Ramba e Tetris, alle evoluzioni ginniche di Pollicina con una carota o una confezione di Smarties, apprendiamo dell’esistenza di un regista considerato il Luchino Visconti del porno, dell’attore gentiluomo che recita e poi va a fare gli esami all’università, del caliente rappresentante di aspirapolveri che entra in ufficio per una dimostrazione ed esce come il nuovo astro Julian Latino.

Dietro ai costumi succinti e i VHS si intravede il lato malinconico di un universo borderline che, paradossalmente, fa da specchio alla sua stessa società che censura e denuncia gli spettacolini live ma è pronta a eleggere il partito dell’amore in parlamento; bolla le dive come oscene ma intasa le chat erotiche decretandone il successo economico, molto più elevato dei loro colleghi maschi e inverso alla condizione lavorativa femminile comune.

Nel suo libro, Debora Attanasio ricorda la compianta Moana Pozzi, unica nel suo genere, che ha vestito l’esplicito di un alone di bellezza priva di volgarità, lasciando trasparire un pudico brivido nostalgico per un periodo in cui le azioni dettate da un’ingenua spavalderia, mai ideata a tavolino, riuscivano ancora a fare la differenza.

“Ogni anno luce vale cento anni d’ombra” (Alda Merini)

Slivia Levanti

 

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