La recensione del film Benvenuti… ma non troppo (Le Grand Partage) di Alexandra Leclère, tra i recuperi in home video di questa estate 2018.
Uno degli inverni più rigidi si abbatte sulla Francia e con esso, la decisione del Governo di adottare misure speciali: chiunque abbia una casa che supera una certa metratura e con stanze disponibili, è costretto ad ospitare chi un’abitazione non può proprio permettersela. Questo provvedimento getta i francesi nel panico, in particolare, la regista decide di concentrarsi sugli abitanti di una lussuosa palazzina del centro di Parigi.
C’è la famiglia Dubreuil, borghese e conservatrice: marito egoista, moglie che non ha mai lavorato, figlia che comunica con i genitori attraverso il suo oboe più che con le parole. Pur di non ritrovarsi estranei in casa, corrono all’ospizio a “riprendersi” la mamma di lui. La famiglia Bretzel, scrittore lui, professoressa lei, radical chic ed impegnati nel sociale solo all’apparenza – utilizzano la cantina comune per accogliere la donna malese che è stata loro assegnata. Poi la portinaia xenofoba e fascista che benedice i suoi diciannove metri quadri di appartamento che non le permettono di ospitare nessuno. La coppia di anziani ficcanaso che preferisce trasferirsi in un monolocale piuttosto che dividere i propri spazi con altri e, infine, c’è l’uomo agè, eccentrico e sempre solo e, per questo, l’unico ad accettare con entusiasmo il provvedimento dell’Eliseo. A nulla varranno gli escamotage adottati da ogni nucleo familiare, alla fine, la distinta palazzina sarà letteralmente invasa dai “meno agiati”, dai “lavoratori poveri”, dai “clochard”.
Come tradizione vuole, la commedia deve svilupparsi da un tema di attualità, questo la Leclère dimostra di saperlo e sceglie deliberatamente di muoversi in un campo difficile e delicato da trattare: l’accettazione e l’integrazione del diverso.
Benvenuti… ma non troppo non vuole essere un film di denuncia o di condanna, ma ha il solo scopo di presentarci, con leggerezza e ironia, varie tipologie di comportamento dell’ “uomo borghese” difronte ad un avvenimento sociopolitico grottesco e di fantasia, che a ben guardare non si discosta poi molto dalla realtà dei nostri tempi: l’estraneo, il diverso da “noi” che “deve”essere accolto.
Ecco allora che, seppur basandosi su dei cliché evidenti e un po’ stantii (la professoressa che va alla manifestazione ma che vive in un attico in centro, l’imbianchino moldavo che si rivela un ladro…) dà vita ad una serie rocambolesca di eventi ed equivoci che fanno sorridere grazie anche ad un cast di caratteristi più che azzeccato e a dialoghi divertenti e ben costruiti.
Il tema dell’accoglienza è certamente il motore del film, ma spesso la regista lascia spazio a quello del confronto. Non, come verrebbe naturale pensare, fra i “ricchi” ed i “poveri” (anche perché questi ultimi sono “altri” di passaggio, non vengono indagati, lo spettatore non ha il tempo di conoscerli), ma fra i vari inquilini del palazzo, dichiaratamente schierati politicamente a destra o a sinistra, che poi si rivelano non così diversi l’uno dall’altro; o ancora, tra moglie e marito con il sotto testo narrativo della crisi matrimoniale presente in entrambe le coppie principali e che purtroppo si risolve in modo vago e sbrigativo.
E nonostante il film non presenti una vera e propria evoluzione dei personaggi (rimangono molto stereotipati), seppur non offra allo spettatore veri strumenti di riflessione, rimane una commedia non particolarmente sofisticata, ma godibile e divertente, dove una palazzina chic, da torre d’avorio, si trasforma in una torre di Babele con un via vai gioiosamente chiassoso e colorato di ospiti di ogni estrazione sociale.
Violetta Biagiotti
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