La recensione di Thelma, il nuovo film diretto da Joachim Trier, al cinema dal 21 giugno 2018.
Qualcuno che oltreoceano ha visto Thelma, nuovo film del danese Joachim Trier (Segreti Di Famiglia), lo ha definito in nome del basso profilo come un “Carrie girato da Bergman”. Di solito le sparate da giornalai strilloni mi fanno montare odio e crollare le motivazioni, ma in qualche modo questa volta la definizione lusinghiera non è del tutto psicotica.
La protagonista di Thelma, omonima, è una ventenne cresciuta da una famiglia rigida come la sua fede, disorientata socialmente e repressa sessualmente.
Ma i pruriti adolescenziali possono solo essere posticipati, e infatti si innescano quando Thelma incontra la compagna di università Anja e se ne innamora; il presente ormonale e un passato in flashback ci rivelano progressivamente le gelide zone d’ombra della mente della ragazza ed un inspiegabile potere che si traduce nell’incontrollata materializzazione dei suoi desideri turbati.
Una ragazza in possesso di facoltà paranormali, elemento da horror purosangue, nel film di Trier (cognome evidentemente incline a soggetti disturbanti) esce dal sentiero e si immerge nella vegetazione di un dramma visionario e sofisticato, che (soprattutto a livello tecnico-visivo) consacra il suo autore.
Attraverso un incubo psicoanalitico che scende nel nero petrolio con passo fermo e lento, alternando fatti e simbolismi; il rigore narrativo e stilistico scandinavo di Trier non lascia spazio a sensazionalismi, violenza didascalica o momenti cruenti. Il fantastico fa da gregario alle dinamiche e alle ossessioni terrene.
Le atmosfere crepuscolari sono accurate, le diapositive che fanno presagire morte e tragedia ancora meglio, ed è in quest’ultimo frangente che un po’ di autocontemplazione estetica si allarga, concedendo qualcosa in meno alla sostanza e molta metafisica.
Ogni inquadratura di Trier, da quelle panoramiche a quelle incombenti, è però raffinata, ispirata e portatrice di angoscia, nella tradizione nobile scandinava in cui persino gioventù e piscine (Tomas Alfredson), natura e parenti (Ruben Östlund) arrecano dolore.
La trappola autolesionista della psiche della protagonista ha il risultato di isolare, anestetizzare, congelare rapporti e pulsioni; così, l’impacciato desiderio è contaminato e Thelma vive l’incubo di non dover provare nulla, per nessuno.
Strada facendo il film evoca e rievoca effettivamente quell’infinita disperazione, quell’azione corrosiva di famiglia, fede ed isolamento che rese famoso l’innominabile (nel senso di non scomodabile) autore di film come Il Posto Delle Fragole; qui il posto è delle fregole, perché in Thelma, tra un’inquietudine e l’altra, si insinua uno splendido rivolo di sensualità peccaminosa.
Visione tetra, tormentata, consigliata.
Voto: 7,5/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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