La recensione del nuovo film di Terence Davies con Cynthia Nixon nei panni di Emily Dickinson, dal 14 giugno 2018 nelle sale.
Si potrebbe quasi dire che l’omaggio offerto da Terence Davies alla figura di Emily Dickinson con A Quiet Passion sia duplicemente drammatico: da una parte il dramma che si consuma sulla scena, quello in costume, figlio della stessa scuola di prodotti come Orgoglio e Pregiudizio; dall’altra il dramma che si consuma nelle sale, quello dei cinefili, costretti a 120 minuti di biopic monotono e sentimentale. Di fatti, dopo un primo tempo capace di strappare qualche sorriso di complicità, A Quiet Passion finisce per imporsi irrimediabilmente come un semplice e stucchevole (melo)dramma storico.
La storia è infatti puntualmente scandita dal ritmo di certe musiche sacrali o di alcuni cori a cappella, fra cui si distingue Since first I saw your face intonato da Sarah Leonard, che caricano forse di eccessivo pathos la mise-en-scène. Il risultato? Una insostenibile pesantezza di fondo, che non solo dilata inutilmente i tempi della narrazione, ma anche trasforma la vicenda in un lungo adagio sentimentale più vicino ai toni del patetico che dell’effetto lirico: e in questo sta la grande debolezza del film.
In questo continuo ping-pong fra cornici musicali solenni e sequenze narrative dominate da lacrime e pianti si perde un po’ il senso dei personaggi. Soprattutto del personaggio: Emily Dickinson, interpretata da una Cynthia Nixon in grande forma, risulta totalmente sacrificata a favore di certi dialoghi artificiosi e certe pose letterarie che sembrano quasi strizzare l’occhio alla narrativa di Jane Austen. Avvolti dal medesimo alone di sagacia, arguzia, sobrietà ed eleganza, quasi tutti i personaggi finiscono per assomigliarsi; solo Vryling Buffam (Catherine Bailey) emerge dal gruppo per il suo simpatico e sfrontato sarcasmo.
Con il suo allontanamento e quello del sacerdote Charles Wadswoth (Eric Loren) dalla contea di Amherst – a.k.a. una New England che di “New” ha ben poco – si apre la strada al protagonismo indiscusso di Emily e della sua famiglia, composta da: sorella Vinnie (Jennifer Ehle), fratello Austin (Duncan Duff), padre Edward (Keith Carradine) e madre Emily (Joanna Bacon). I rapporti che legano la Dickinson alla propria famiglia sono contraddittori, morbosi; proprio come morboso e contraddittorio è l’animo della protagonista. Scisso fra rigore e fragilità, accondiscendeza e provocazione, forse Davies ha trovato nell’animo della sua eroina qualcosa di affine:
«Nel film c’è più di una componente autobiografica; io sono il più giovane di dieci fratelli di una famiglia cattolica di Liverpool, e quando ho scoperto la mia omosessualità (in un’epoca in cui era addirittura un reato) pregavo ardentemente di poter essere come tutti gli altri, senza trarne alcun conforto. Come Emily Dickinson nella vita sono sempre stato una persona che “sta al di fuori”, osserva gli eventi piuttosto che viverli».
Per chi sia curioso di vedere come la fu Miranda Hobbes di Sex & The City se la cavi nei panni della poetessa “outsider” consigliamo la visione di A Quiet Passion; a tutti gli altri, invece, un bel Canzoniere della Dickinson, alias un miglior investimento!
Alessandra Del Forno
Amante del cinema documentario e di tutto ciò che riesca a sublimare in immagini la poeticità del quotidiano, Alessandra è una giovane laureata che vede in Wenders, Tarkovskij (e Aldo, Giovanni e Giacomo) la strada verso la felicità. La potete trovare ogni due lunedì del mese tra i cinefili del LatoB e tutte le altre sere tra gli studenti di documentario della Luchino Visconti a Milano.