La recensione del film La Terra dell’Abbastanza dei fratelli D’Innocenzo al cinema dal 7 giugno 2018.
Ai festival capita spesso d’imbattersi in proiezioni fuori programma. Sono quelle col pubblico, in cui si entra last minute per soddisfare una vocina interiore che ti calamita verso un film con la speranza di fare giornata in extremis. Dobbiamo ammettere che dopo l’exploit di Call Me By Your Name della scorsa edizione, alla Berlinale 2018 c’era minor diffidenza verso i prodotti battenti bandiera Tricolore, sebbene con la certezza che un’emozione così intensa sarebbe stata difficile da replicare. E allora ecco che mi sono infilata alla prima de La Terra dell’Abbastanza complici un bel titolo, una sinossi intrigante e un duo in cabina di regia mai sentito prima. L’istinto è stato un buon alleato.
La Trama
Questa è la storia di due ragazzi, Mirko e Manolo. Sono poco più che adolescenti e riescono ancora a ridere mangiando un panino all’interno di un’auto scassatissima nel mezzo del nulla. Vivono nella periferia di Roma, quella periferia senza identità, senza stimoli e in cui non sono i monumenti ma il degrado ad attirare attenzione. Una sera, i due tra una risata un’altra mettono la prima, si distraggono un secondo e finiscono con l’investire un passante. Presi dal panico scappano e decidono di tacere, mantenere un basso profilo e attendere di capire chi fosse il malcapitato.
La dea bendata pare fare un regalo a tutti. Si scopre che l‘uomo investito non può più parlare ed era un pentito di un clan della zona, uno di quei soggetti di cui nessuno sentirà la mancanza. In un attimo i due diventano eroi e iniziano a guadagnare una quantità di soldi mai vista prima. Inebriati dal “successo” nel malaffare, neanche a dirlo, Mirko e Manolo scambiano per Paradiso ciò che si rivelerà la via più breve per l’Inferno.
La Terra dell’Abbastanza
Parte così. Con due ragazzotti che fanno una cavolata e al posto d’imparare la lezione si cacciano nei guai, quelli seri, in cui la via d’uscita è solo un miraggio. Scelgono con leggerezza, senza calcolare la coscienza, la propria indole e l’immenso potere dei sensi colpa, o forse sottostimandoli, illudendosi che la malavita li possa proteggere anche da se stessi. L’unico potente collante rimarrà l’amicizia e anch’essa sarà foriera di tempesta.
“Volevamo raccontare com’è maledettamente facile assuefarsi al male” dichiarano Damiano e Fabio D’Innocenzo, i due registi, classe 1988, al loro primo lungometraggio. Bene, hanno stupito tutti per esserci riusciti con semplicità, precisione e senza venire meno alle proprie origini. Perché La Terra dell’Abbastanza è un piccolo film italiano, con una trama sulla parte poco fascinosa delle città del Bel Paese, ben diretto, incorniciato da una fotografia attentissima (di Paolo Carnera) e interpretato da due protagonisti che non cedono sino alla fine.
Insieme alla sicurezza e sensibilità dei registi sono, infatti, Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti con la loro recitazione, in grado di farci rimanere al loro fianco durante la spirale discendente di Mirko e Manolo, a sorprenderci e farci applaudire convinti sui titoli di coda. Non avvertiamo situazioni caricaturali, ci viene risparmiata la recitazione da sceneggiato TV e, inaspettatamente, entriamo e usciamo da quella periferia come se fosse la terra in cui siamo cresciuti.
E c’è di più. Tanta naturalezza e spontaneità non inficiano la drammaticità delle scene né lo spiazzante assunto che sia estremamente facile rimanere vittime degli eventi – e perdere in un batter d’occhio il controllo della propria vita. Ogni cosa si spiega da sola, evitando dialoghi sovrabbondanti e inutili inquadrature, caratteristica che dona al progetto una freschezza da premiare sorvolando su alcune decisioni in dirittura d’arrivo che incrinano lo standard.
Dopo il successo berlinese, La Terra dell’Abbastanza tra pochi giorni arriverà nei cinema per conquistare il pubblico di casa propria.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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