Recensione del film L’arte della fuga di Brice Cauvin, trasposizione dell’omonimo romanzo di Stephan McCauley, al cinema dal 31 maggio 2018.
Antoine, Louis e Gérard sono tre fratelli, sono molto legati tra loro anche se sono completamente diversi gli uni dagli altri. La loro vita è incentrata sul lavoro, gli spostamenti e le storie d’amore (più o meno tranquille). Soprattutto hanno due genitori che si barcamenano nello stesso negozio da decenni ed hanno le idee molto chiare su come vorrebbero vedere i loro tre pargoli, ovvero felici e accasati.
Fin qui nulla di strano se non fosse che ognuno dei tre ha qualche piccolo scheletro dentro l’armadio.
Antoine è gay ed è legato al compagno più per abitudine che per un sentimento sincero. Non riuscendo a staccarsene, si impegna in situazioni che diventano sempre più grandi come comprare una casa insieme e cambiare quartiere. Poco importa se nella sua testa c’è un altro amore impossibile, che vive a Bruxelles, e che incontra di nascosto.
Louis si trascina in un fidanzamento ufficiale con la bellissima Julie, amata però più dai suoi genitori che da lui, e finisce col concentrarsi sulla divorziata Mathilde.
Infine Gérard sta cercando di superare nella maniera più dignitosa possibile il suo divorzio, con risultati a dir poco pessimi. Lontano dal riuscirci a 40 anni vive ancora con i suoi che lo coccolano e viziano come se fosse un bambino bisognoso.
L’arte della fuga è la trasposizione cinematografica del romanzo di Stephan McCauley del 1992, qui adattato da Brice Cauvin il quale fa un ottimo lavoro coi personaggi e con la storia che sapientemente affina al gusto europeo.
Sin dall’inizio si intuisce l’eccellente impegno sia in fase di sceneggiatura che di messa in scena. Il regista riesce infatti a bilanciare bene trama e sotto trame senza lasciare mai momenti morti. I dialoghi, come da miglior tradizione di commedie francesi, sono sempre pungenti ed allegramente surreali.
Le vicende raccontate sono originali seppur simili alle situazioni che si vivono in ogni famiglia. Ed è proprio questa l’arma vincente della pellicola, ovvero il presentare tre vite apparentemente alla deriva, in bilico tra i “non ritorno” e la “svolta”, utilizzando la giusta dose di sarcasmo e leggerezza così da farci immedesimare – e tifare – per questi uomini apparentemente maturi ma eterni e insicuri adolescenti.
La recitazione di tutti gli attori è misurata ed efficace, così come le scelte registiche che prediligono un gusto dell’immagine più realistico e meno forzatamente ricercato. Non si può, tra l’altro, non menzionare con merito la bravissima Agnès Jaoui (già ammirata nel recente 50 Primavere), nei panni dell’amica stramba di uno dei fratelli. La sua presenza riesce a bucare lo schermo anche quando si tratta di ruoli secondari.
L’arte della fuga si muove con leggerezza e sagacia tra storie agli opposti, riuscendo a mantenere un equilibrio goliardico dall’inizio alla fine e a chiudere in modo efficace tutte le porte aperte.
In conclusione, ci troviamo di fronte ad una commedia ben riuscita che non deluderà né gli appassionati di cinema francese, né chi non ne è grande conoscitore. È un film da godersi con spensieratezza, in grado di far riflettere su tutte quelle situazioni sentimentali apparentemente incanalate verso un’unica direzione, che sono complicate e vorremmo rendere semplici oppure sono solo tanto intricate quanto permettiamo loro di essere. Insomma, è uno spaccato perfetto della vita di ognuno di noi ma che, vista sullo schermo, non mancherà di strappare qualche sorriso unito a qualche innocente pensiero di fuga.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.
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