DONBASS: la guerra è ciò che accade quando il linguaggio fallisce

La recensione di Donbass, il film di Sergei Loznitsa in anteprima a Un Certain Regard di Cannes 2018.

una scena del film Donbass – Photo courtesy of FDC

La citazione nel titolo è della scrittrice Margaret Atwood, la dedica a Donbass, film dell’ucraino Sergei Loznitsa (Austerlitz) che apre Un Certain Regard di Cannes 2018 con un’enigmatica, quasi farsesca ma indubbiamente originale declinazione del dramma su sfondo bellico.

Il conflitto russo-ucraino, visto dalla prospettiva della piccola cittadina di Donbass e dei suoi peculiari abitanti, assume i connotati di una guerra tanto di stato quanto di quartiere, che si insinua nelle questioni private e si riflette in esse amplificandole.

Loznitsa con le sue lunghe e belle sequenze coniuga la cruda disperazione di un popolo diviso e divelto dall’hic et nunc storico a miserabili derive umane che forse esisterebbero e avrebbero la meglio anche in tempo di pace.

Ecco così descritte, in una bizzarra alternanza di toni, cruente torture al nemico, stragi dai futili motivi, omuncoli corrotti, politici che cavalcano l’onda del paese depresso, ostentati rituali sociali che mascherano la crisi. Con personaggi che blaterano, strillano e argomentano in maniera goffa, pomposa o vacuamente arrogante le loro tesi e le loro ragioni.

una scena del film Donbass – Photo courtesy of FDC

La città di Donbass esiste davvero, ma il suo nome fa facile assonanza con una parola inglese che indica l’idiota; come l’essere umano che anche in una guerra subìta specula, arraffa, trincera ed avvelena. Come se esagerare, nelle reazioni e nella cattiveria, fosse l’unico modo di farcela, l’unico perverso meccanismo di difesa.

Potrebbe essere questa la morale “locale” dello spaccato storico del film, perché le grandi domande e manovre su guerra & pace restano saggiamente celate dietro al mesto folklore e agli orticelli dei protagonisti.

I quali, stupendamente sconsolanti, costituiscono una sfilata di sopravvissuti al conflitto e sopravviventi alla vita quotidiana.

Qui si cela anche il limite di Donbass, tanto suggestivo ma poco coerente e uniforme nella narrazione, forse più impegnato a pescare qua e là nello squallore civile e militare da dimenticare di provare a ricondurre tutto a un’unità. A meno che l’unità non sia proprio la comunità, una fra tante, che è vittima e al tempo stesso (soprattutto?) complice del misfatto.

Risate amare, qualche passaggio a vuoto, ma anche una sua inafferrabile identità.

Voto: 6,5/10

Luca Zanovello

 

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