La recensione del film Dopo la guerra, esordio alla regia di Annarita Zambrano con Giuseppe Battiston, al cinema dal 3 maggio 2018.
Marco è un ex terrorista, ha combattuto la sua guerra d’ideali con gli unici mezzi che i movimenti politici degli anni ’80 conoscevano, ovvero quelli del sangue e della violenza. Grazie alle disposizioni del Presidente francese Mitterand, che offriva asilo a chi si era macchiato di tali crimini nel momento in cui si fossero rifatti un’esistenza in Francia, vive Oltralpe da oltre 20 anni. Rimane lontano da tutto, dalla sua famiglia, dagli amici e dagli ex compagni combattenti.
L’unico parente vicino è la figlia Viola, che, adolescente, non può avere le risposte a domande troppo grandi per la sua età ma che, nonostante tutto, lo segue e rimane al suo fianco in ogni momento, soprattutto quelli più difficili in cui diventa lei a prendersi cura del padre con un affetto maturo e incondizionato.
Anche i genitori e la sorella, non hanno contatti con lui da anni e nella loro quotidianità borghese e ordinaria, cercano di distaccarsi da un passato doloroso che ancora li fa soffrire.
Tutto cambia nel momento in cui, nel 2002, la protesta contro la riforma del lavoro sfocia nell’assassinio di un professore universitario e il Governo italiano pensa subito che Marco ne sia il mandante e ne chiede l’estradizione. L’ex criminale, non più protetto dal Paese che l’ha ospitato per buona parte della sua vita, comincia un percorso di fuga e di ricerca di un nuovo posto dove poter vivere con la figlia. Non tutto, però, andrà come sperato e ciò che seguirà saranno una serie di eventi che definiranno, anche inconsapevolmente, il futuro di tutti.
La regista Annarita Zambrano, al suo primo lungometraggio, riesce a confezionare una storia che punta su aspetti ben precisi e definiti, ovvero i silenzi, i non detti, i rapporti familiari fatti di assenze e lontananze, le prese di posizione inamovibili, le colpe che non si ammettono e che ricadono inevitabilmente su chiunque ti sta attorno.
Dopo la guerra si muove tra quelle che sono le emozioni più profonde e contradditorie dell’animo umano. Il protagonista si è macchiato di un reato efferato; ha passato quasi metà della sua esistenza in esilio; ha condizionato e continua a condizionare l’esistenza dell’unico affetto che gli è rimasto accanto, Viola; non parla con i suoi cari da quando se ne è andato; ma, nonostante tutto, non si ravvede, non si pente, non cerca il perdono e continua a combattere la sua guerra anche da lontano.
La colpa e le conseguenze delle proprie azioni sono i veri protagonisti di questa pellicola che, grazie agli attori scelti, riesce a consegnare allo spettatore dei personaggi credibili e profondi.
Giuseppe Battiston, nei panni di Marco riempie lo schermo con la sua presenza scenica. Riesce a rappresentare efficacemente il ruolo di un uomo, che vive in un mondo completamente parallelo a quello reale, e di un padre, che non riesce ad esprimere l’amore per la figlia, che continua a pensare al suo passato come se fosse ancora attuale, come se fosse ancora in lotta, come se le sue parole fossero ancora dei proclami nei confronti di uno Stato, quello italiano, che non riesce a riconoscere.
Barbara Bobulova interpreta la sorella Anna che, nel tentativo di scrollarsi di dosso l’ingombrante passato, ha provato a crearsi una vita da benestante. Ha sposato un Giudice, insegna letteratura e fa la mamma di una bambina cui però non riesce a trasmettere una pace ed una tranquillità che lei, in primis, non ha.
Dopo la guerra è un film tutto sommato riuscito alla luce dei fatti che racconta e per come li racconta, ossia attraverso l’eco delle conseguenze di azioni lontane. Ed in fondo quello che ci comunica l’autrice è proprio questo, come tutto quello che facciamo influenzi non solo noi ma chiunque ci stia vicino, anche se sono passati anni, anche se ci sono centinaia di chilometri a separarci.
La (non) presa di coscienza dei propri errori e gli effetti che essi hanno sulle persone a noi care sono il tema portante di un film che analizza in modo apparentemente distaccato, ma alla fine efficace, la causa-effetto di un crimine, senza entrare troppo nel merito politico delle vicende ma rimanendo, al contrario, su un piano più intimo e umano.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.