I FANTASMI D’ISMAEL: l’inquieta autoreferenzialità di Desplechin tra donne, arte e insonnia

Recensione del film I Fantasmi d’Ismael, la nuova fatica di Arnaud Desplechin con Mathieu Amalric, Marion Cotillard e Charlotte Gainsbourg al cinema dal 25 aprile 2018. 

la locandina italiana del film I Fantasmi d’Ismael

Con I Fantasmi d’Ismael si rinnova per la settima volta il sodalizio artistico fra Arnaud Desplechin e Mathieu Amalric, ormai alterego cinematografico del regista dal 1992. E chi meglio di lui per l’animo luminoso e inquieto di Ismael Vuillard? Nella piccola cittadina di Roubaix (patria del regista), Ismael è un regista visionario alle prese con la sceneggiatura del suo prossimo film. Un film di spionaggio, a sfondo thriller, che vede protagonista un atipico diplomatico di nome Ivan Dédalus.

Basterebbe questo tacito – e non unico – richiamo a Joyce (Stephen Dedalus era il suo alterego letterario) per capire che ne I Fanstami d’Ismael i veri fantasmi sono proprio loro, i padri spirituali del regista: Joyce, Truffaut, Bergman, Hitchcock… E non è forse lo stesso film di Desplechin una sorta di doppio dello schema di Vertigo? Anche in questo caso la donna che – possiamo dirlo – visse letteralmente due volte ha nome Carlotta.

Marion Cotillard e Charlotte Gainsbourg in una scena del film I Fantasmi d’Ismael

Interpretata da una meravigliosa Marion Cotillard, Carlotta è una giovane donna sospesa, inafferabile, tornata da vant’anni di oblio solo per riconquistarsi l’amore e le cure di Ismael, suo marito. Ma Ismael ormai, dopo vent’anni di frustranti ricerche, ha deciso di firmare le carte dichiaranti il suo decesso. Carlotta Bloom è morta. Eppure, nessuno più di lei è così vivo sulla scena: lo è negli occhi lucidi di suo padre, nei feroci incubi del suo ormai ex-marito, lo è persino nell’aspetto docile e «vulnerabile» di Sylvia, la sua nuova compagna (Charlotte Gainsbourg).

Con la leggerezza di un maestro che danza abilmente fra dramma e commedia, Desplechin ci porta per mano in un triangolo amoroso ricco e straziante; più vicino, per erotismo e complessità, ai nudi espressionistici del Pollock piuttosto che ai ritratti realistici di Van Eyck – entrambi, non a caso, ricorrenti sulla scena. Questi, insieme ai dettagli onomastici di cui sopra, rendono I Fantasmi d’Ismael un film estramente godibile da tutti coloro che sono grandi cultori di cinema, arte e letteratura. Ma anche da tutti coloro che sono solo grandi estimatori del cinema di Desplechin.

Mathieu Amalric in una scena del film I Fantasmi d’Ismael

In questo vorticoso rimando di nomi letterari, prodotti artistici e riferimenti metacinetografici sta infatti il bello e il brutto de I Fantasmi d’Ismael. Se a qualcuno potrà apparire un mero compiacimento intelletuale del regista, a noi in realtà questa sua sofferta autoreferenzialità piace. E piace non solo perchè ci ricorda, pur senza la stessa scanzonatezza, 8 e mezzo di Fellini, ma anche e soprattutto perché dona alla filmografia di Desplechin un qualcosa di coerente e di ambizioso. Impossibile non lasciare la sala avvolti dalla stessa ragnatela di emozioni che ha attanagliato fino a quel momento tutti i personaggi del film. E, proprio come dopo I miei giorni più belli (2015), impossibile non lasciarsi pervadere delle loro stesse domande: basta essere vivi per essere in vita? Basta essere dichiarati morti per essere morti? E che ruolo ha l’amore in tutto questo? E le proprie origini?

Ecco, se proprio dovessimo trovare il pelo nell’uovo, diremmo che grande assente di questo film è sicuramente la riflessione religiosa, non tanto perchè fosse essenziale, quanto piuttosto perchè è giusto appena accennata in un paio di dialoghi – almeno nella versione director’s cut di 114′ rilasciata all’estero. Chissà che nella versione originale di 134′, presentata fuori concorso alle 70esima edizione del Festival di Cannes, essa non godesse di maggior rilievo, almeno in relazione alle origini ebraiche di Carlotta e suo padre, qui interpretato da Laszlo Szabo. In ogni caso, il film uscirà nelle sale italiane il 25 aprile 2018 nella versione ridotta.

Alessandra Del Forno

Foto: si ringrazia l’ufficio stampa
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